L' Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (U.S.M.M.)

obiettivi, orientamenti e progettualità

a cura di M. Bianchi

1. Compiti istituzionali

L'U.S.S.M. (Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni), è un servizio della Giustizia Minorile; possiede una lunga tradizione nell'ambito degli interventi a favore di minori a differenza dei Centri di Servizio Sociale per Adulti (C.S.S.A) che, sanciti con la L.354 /75, risalgono a tempi più recenti. L'U.S.S.M. era già previsto nel R.D. n° 1404 del 1934 istitutivo dei Tribunali per Minorenni. La L.888 /56 ha introdotto il servizio a pieno titolo e gli U.S.S.M. sono stati compresi tra i servizi dipendenti dal Ministero di Grazia e Giustizia. Una legge successiva, la L.1805 del 1962, ha poi istituito gli Uffici Distrettuali di Servizio Sociale per i minorenni, presso ogni capoluogo del distretto di Corte d'Appello, con competenze in ambito civile, amministrativo e penale (si veda fig. 1). Precedentemente le assistenti sociali erano pagate a parcella, mentre la L.1805 /62 sana tale precarietà lavorativa istituendo i ruoli del personale di Servizio sociale.

Secondo l'art. 2 della L. 1085 del 1962:

Gli uffici di servizio sociale svolgono, nell'ambito dei centri di rieducazione per minorenni e in relazione a provvedimenti penali, civili e amministrativi dell'autorità giudiziaria, inchieste e trattamenti psicologico-sociali ed ogni altra attività diagnostica e rieducativa, concorrendo, ove occorra, con i competenti organi del Ministero dell'interno o di altre amministrazioni ed enti.

Gli uffici di servizio sociale possono altresì essere incaricati di studi e di inchieste sociologiche aventi attinenza con la prevenzione della delinquenza minorile.

(Art. 2 della L. 1085 del 1962).

Figura 1

Il D.G.M. possiede inoltre tre Scuole per la Formazione del Personale: Castiglione delle Stiviere (MN), Roma e Messina. I Centri per la Giustizia Minorile (C.G.M.) esercitano funzioni di programmazione tecnica ed economica in conformità con le politiche di intervento territoriale e gli obiettivi perseguiti dal Dipartimento; sono organi del decentramento amministrativo ed hanno competenza di solito su più regioni e quindi su un territorio che può comprendere più distretti di Corte d'Appello.

Con la riforma del codice di procedura penale (D.P.R. 448/88), sono state apportate importanti innovazioni riferite ai minori nel campo penale soprattutto per quel che riguarda il ruolo dei Servizi sociali e socio-sanitari durante l'iter penale: l'U.S.S.M. è infatti chiamato a collaborare direttamente non solo con l'Autorità Giudiziaria minorile, ma anche con i Servizi sociali del comune, delle province e con i Servizi socio – sanitari. [1]

Gli U.S.S.M., nel quadro dei compiti istituzionali previsti dall'ordinamento penitenziario L.354/75, dalle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni D.P.R. 488/88 e dalle relative norme di attuazione D.legvo 272/89, intervengono a favore di minorenni nell'ambito della competenza penale dell'Autorità Giudiziaria minorile, partecipando alla promozione e alla tutela dei loro diritti. Insieme ai Servizi sociali degli enti locali, l' U.S.S.M. ha il compito di analizzare la situazione personale, familiare ed ambientale del minore, di attuare e verificare progetti educativi. [2]

Compiti istituzionali degli U.S.S.M. (definiti nella Circolare n°72676 del 1996 sull'organizzazione e gestione tecnica degli Uffici di Servizio Sociale per Minorenni) sono:

  1. raccogliere e fornire elementi conoscitivi concernenti il minorenne soggetto a procedimento penale;
  2. relazionare all'Autorità Giudiziaria circa le condizioni personali, familiari ed ambientali del minore;
  3. proporre piani di intervento individualizzati che attivino percorsi di crescita e responsabilizzazione del minore;
  4. concorrere alle decisioni dell'Autorità Giudiziaria minorile
  5. assistere il minore per tutta la durata del procedimento penale fornendo elementi di chiarificazione rispetto alla vicenda giudiziaria;
  6. svolgere attività di sostegno e controllo nella fase di attuazione del provvedimento dell'Autorità Giudiziaria a favore dei minori sottoposti a misure cautelari non detentive in accordo con gli altri Servizi Minorili della Giustizia e degli Enti locali;
  7. verificare gli interventi in relazione ai piani formulati ed ai risultati ottenuti;
  8. promuovere e realizzare sperimentazioni, ricerche, metodologie d'azione, finalizzate alla continua definizione del disagio giovanile, dei bisogni e quindi degli interventi da attuare .

Figura 2

Figura 3

Figura 4

1.a. La continuità dell 'intervento e gli orientamenti

L'intervento dell'U.S.S.M. si protrae fino al compimento del ventunesimo anno di età per quei soggetti nei cui confronti è stato avviato un procedimento penale da parte del Tribunale dei Minorenni. Tale possibilità viene prevista dal legislatore nei casi in cui il reato sia stato commesso durante la minore età allo scopo di evitare un traumatico passaggio alle strutture penali per adulti. Questa opportunità deriva dal principio che, essendo la personalità del minorenne “in evoluzione”, la devianza minorile può costituire una fase circoscritta e transitoria nella vita del soggetto per cui risulta preferibile evitargli un impatto con l'ambito penale degli adulti, caratterizzato da una forte stigmatizzazione.

Le misure cautelari, le misure alternative, sostitutive e di sicurezza, si eseguono con le modalità previste per i minorenni che si fondano sulla metodologia del lavoro per progetti. I progetti presuppongono il raggiungimento graduale di un accordo tra ragazzo ed operatore in merito alla costruzione guidata di un percorso di vita che scaturisca dal ripensamento sul proprio percorso deviante, dalla presa di coscienza dei propri obiettivi, dalla ricerca di occasioni che favoriscano una crescita positiva.

Le modalità di intervento dell'U.S.S.M. sono state influenzate nel corso degli anni da diversi orientamenti. La prima organizzazione dei servizi minorili del Ministero di Grazia e Giustizia, in attuazione del R.D.L. del 1934, vede il prevalere di una logica di intervento di tipo autoritario e rieducativo. L'intervento pubblico si basava sull'utilizzo di riformatori/case di rieducazione, sia come mezzo di controllo sociale nei confronti di preadolescenti (9-10 anni) che come collegio di stato per le classi meno abbienti. Gli istituti educativi erano in pratica comunità chiuse, dotate di cancelli ed inferriate secondo il modello carcerario; le modalità di intervento si uniformavano al presupposto che il minore avesse contratto abitudini devianti (quindi ad una logica di tipo correttivo). Le norme per gli appartenenti ai ruoli di educazione e sorveglianza privilegiavano il controllo e l'intervento disciplinare.

L'affermarsi di studi psicologici, psichiatrici, sociologici e l'introduzione di nuove figure professionali, contribuiscono alle trasformazioni che si attuano nel corso degli anni cinquanta. L'attenzione si sposta sulle misure rieducative e i bisogni del ragazzo vengono considerati prioritari. Negli anni '60 prevale il “modello psicologico” e quindi una metodologia incentrata sull'analisi della personalità del minore. Viene quindi superata la logica della rieducazione intesa in senso rigido e privilegiato il lavoro sul caso.

Negli anni ‘70 all'attenzione verso l'analisi psicologica si aggiungono i contributi forniti dalla sociologia e quindi l'interesse si rivolge prevalentemente al contesto sociale di provenienza del minore. La crisi delle istituzioni chiuse e segreganti investe anche il settore della giustizia minorile. Sono di questo periodo la L.354 \75 e il DPR 616\77 [3] . Secondo la prima,

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento é attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. (art. 1 L . 354 del 1975)

La legge di riforma penitenziaria n. 354 del 1975, apre il carcere alla comunità esterna ed introduce le misure alternative alla detenzione.

Il trattamento del condannato e dell'internato é svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia. (art. 15 L . 354 del 1975)

Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l'autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che avendo concreto interesse per l'opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera. (art. 17 della L. 354 del 1975)

I detenuti internati possono essere quindi assegnati al lavoro all'esterno previa autorizzazione della Autorità Giudiziaria competente. Inoltre, le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all'assistenza dei figli che non abbiano superato i dieci anni d'età. La misura dell'assistenza all'esterno può essere concessa anche al padre del detenuto se la madre è deceduta o non è in condizioni di ottenere l'affidamento dei figli.

I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti all'articolo. (art. 21 della L.354 del 1975)

Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo.

Una commissione composta dal direttore dell'istituto, dagli educatori, dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al precedente comma, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili al reinserimento sociale. (art. 27 della L. 354 del 1975)

I permessi premio sono parte integrante del programma di trattamento che viene seguita dagli educatori e dagli assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori sociali del territorio. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta (art 30-ter comma 8 L .354 del 1975) e che non sono ritenuti persone “socialmente pericolose”, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore d'istituto, può concedere permessi premio per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali, o di lavoro. Per i condannati di minore età la durata dei permessi premio non deve superare i venti giorni mentre la durata complessiva non può superare i sessanta giorni in ciascun anno di espiazione.

Assistenti volontari idonei ai compiti di assistenza ed educazione, possono essere autorizzati dall'amministrazione penitenziaria a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare al sostegno morale dei detenuti, alle attività ricreative e culturali dell'istituto, al futuro reinserimento dei detenuti nella vita sociale. Gli assistenti volontari possono inoltre collaborare con i centri di servizio sociale per l'affidamento in prova e per il regime di semilibertà.

Ma gli interventi del legislatore nel settore giustizia minorile più significativi sono rappresentati dal D.P.R. 616/1977 (con il quale è stata trasferita la competenza degli interventi di servizio sociale agli Enti Locali per i procedimenti civili ed amministrativi del T.M. fino allora seguiti dall'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni), il D.P.R. 448/1988 che ha completamente ridisegnato l'assetto della giustizia minorile ed infine il D.L.vo 272/1989 che ne ha previsto l'attuazione.

Il D.P.R. 448 del 1988 contiene le disposizioni che riguardano il procedimento penale a carico di minorenni e pertanto ridefinisce il ruolo professionale dell'U.S.S.M. confermando la “specializzazione” degli interventi nel penale minorile. In questi anni si diffondono nel settore della giustizia minorile le conoscenze relative all'approccio sistemico relazionale e successivamente la metodologia dell'intervento di rete. Il modello di intervento prevede quindi un percorso educativo individualizzato e modificabile in itinere che, considerando i mutevoli bisogni del minore, coinvolga in un intervento integrato le risorse del territorio e ambientali, comprese quelle non dipendenti dal sistema giustizia.

Le disposizioni contenute nel D.P.R. 448/88 tengono conto della personalità e delle esigenze educative del minorenne, rappresentano quindi una chiave di volta fondamentale nella considerazione del minore nel corso del processo penale in quanto le finalità di tutela, recupero e sviluppo della personalità dei minori devianti, il principio di residualità della pena detentiva, la previsione di procedure e di istituti penali “ad hoc”, condizionano l'iter processuale in maniera decisiva . Particolare attenzione viene posta sul danno: il reato viene considerato alla stregua di un conflitto tra minore, vittima e società e pertanto viene curato l'aspetto riparativo, che si presume responsabilizzante, con programmi di mediazione e conciliazione.

2. Organizzazione e gestione tecnica degli U.S.S.M.:

La Circolare n °72676 del ‘96

La Circolare n°72676 del '96 sull'organizzazione ed il funzionamento dell'Ufficio di Servizio Sociale, definisce in maniera sistematica in un quadro unitario la complessità del servizio, delineando finalità, modelli organizzativi ed operativi, metodologie, strumenti. Per quanto concerne i compiti istituzionali del Servizio ed in particolar modo la struttura organizzativa dell'U.S.S.M., nella Circolare è stabilito come questa debba essere connotata da:

  1. flessibilità (per garantire la possibilità di ridefinire di volta in volta gli interventi in relazione alle specifiche caratteristiche dell'utenza e del contesto di riferimento);
  2. condivisione delle informazioni;
  3. multidisciplinarietà sia metodologica che operativa;
  4. interconnessione con la rete dei servizi territoriali.

L'elaborazione dei progetti nonché la loro attuazione, devono uniformarsi ai principi di non interruzione dei processi educativi in atto, minima offensività del processo, rapida fuoriuscita dal circuito penale, residualità della detenzione [4] .

Il servizio interviene a favore di tutti i minori sottoposti a procedimento penale e che si trovano nell'ambito territoriale di competenza concorrendo alle decisioni dell'Autorità giudiziaria ed alla promozione e tutela dei diritti dei minorenni. L'utenza del Servizio è compresa nella fascia d'età 16-18, ma è prevista l'inclusione fino al ventunesimo anno per reati commessi da minorenni e, per garantire la continuità del trattamento, la competenza degli U.S.S.M. può essere estesa anche dopo il ventunesimo anno d'età, e comunque non oltre i sei mesi, per quei soggetti nei cui confronti sia stato elaborato un progetto di intervento.

La relazione fra Autorità Giudiziaria e Servizio sociale è di tipo funzionale e non gerarchica; l'U.S.S.M. modula le funzioni di aiuto e di controllo in relazione alle esigenze educative del minore, alle fasi processuali ed ai contesti di appartenenza; la capacità di azione sociale del Servizio dipende anche dall'equilibrio che riesce a mantenere fra i due ruoli.

3. L'U.S.S.M. e il procedimento penale a carico di minorenni

Con il D.L. regio n.1404 del 27 luglio 1934 viene istituito il Tribunale per i Minorenni (TM) in ogni distretto di Corte d'Appello (che salvo eccezioni coincide con l'ambito territoriale di una regione). Esso è composto da un Magistrato di Corte d'Appello, che lo presiede, da un Magistrato di Tribunale, e da due componenti non togati (Giudici Onorari), un uomo e una donna (L.1441/1956).

I Giudici Onorari sono definiti dalla legge come “cittadini benemeriti dell'assistenza sociale”, devono avere più di trent'anni ed essere “cultori” di una materia tra biologia, fisica, antropologia criminale, pedagogia, pediatria, sociologia e psicologia, al fine di affrontare con maggiore cognizione gli aspetti del disagio minorile ed arricchire le prospettive di valutazione del collegio giudicante con il proprio sapere extra giuridico [5] . I Giudici Onorari non esercitano funzioni di terapia, consulenza o sostegno, bensì contribuiscono con il loro voto alle decisioni adottate dai collegi e partecipano perciò alle decisioni del Tribunale. Vengono nominati per un triennio dal Consiglio Superiore della Magistratura su indicazione del Presidente del Tribunale dei minorenni e la loro nomina può essere rinnovata [6] .

La competenza Penale del Tribunale per i Minorenni riguarda i reati commessi dai minori di diciotto anni. Inoltre la sentenza della Corte Costituzionale del luglio '83 n° 22 attribuisce ai Tribunali per Minorenni la competenza per reati compiuti da minori coimputati con maggiorenni. La minore età deve sussistere al momento in cui viene commesso il reato, per questo motivo sono possibili casi di maggiorenni (“giovani adulti” tra i diciotto e i ventuno anni) sottoposti a procedimento penale minorile per i reati commessi durante la minore età. Per poter procedere penalmente nei confronti di un minore è necessario che questi sia imputabile e presupposto della sua colpevolezza è la capacità di intendere e di volere.

Per il nostro ordinamento, i minori di quattordici anni sono considerati non imputabili, mentre i minori tra i quattordici e i diciotto anni sono imputabili verificata la loro capacità di intendere e di volere. Mentre per i maggiorenni la capacità di intendere e di volere è presunta, per i minori deve essere accertata e dimostrata caso per caso. A tale fine si conducono delle speciali ricerche sulle condizioni familiari e personali dell'imputato sotto l'aspetto fisico, psichico e ambientale. [7]

Il minore entra nel circuito penale con la redazione da parte della polizia giudiziaria di un verbale contenente la notizia di reato; l'avvio dell'iter processuale (durante il quale il ragazzo sarà comunque seguito dai Servizi) si può avere a seguito di arresto, fermo, oppure di “denuncia a piede libero”. La notizia di reato viene trasmessa al Pubblico Ministero il quale può disporre l'accompagnamento del minore al Centro di Prima Accoglienza, la sua collocazione presso una comunità autorizzata dal Ministero, oppure stabilire che il ragazzo sia condotto nell'abitazione dei genitori ai quali sarà raccomandato di mantenerlo disposizione per lo svolgimento delle indagini. Il C.P.A., con il supporto di una équipe multidisciplinare, ospita i minori arrestati, fermati o accompagnati per un periodo massimo di novantasei ore e comunque fino all'udienza di convalida dell'arresto.

L'équipe ha il compito di raccogliere le prime informazioni sulla condizione personale, familiare e sociale del minore, e di individuare le prime ipotesi d'intervento. I dati e le altre informazioni sul minore confluiscono in una relazione che sarà trasmessa al giudice ed al P.M. all' udienza di convalida . Entro le prime quarantotto ore, il P.M. chiede al Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) la convalida dell'arresto (del fermo o dell'accompagnamento). Il G.I.P può convalidare o no l'arresto disponendo l'applicazione di una misura cautelare tra quelle previste agli artt.20-21-22-23 del DPR 448/88 o la remissione in libertà. Le misure cautelari possono essere disposte per esigenze di tutela della collettività (pericolo di inquinamento delle prove, di fuga o di reiterazione di gravi reati).

Quando il Giudice dispone una misura cautelare, affida l'imputato ai servizi ministeriali i quali, in accordo con il ragazzo, pianificano un programma di trattamento che può riguardare l'attività di studio, lavoro, volontariato o altro; finalità delle misure cautelari non detentive è di promuovere il reinserimento sociale del minore. Attraverso il loro intervento i servizi svolgono attività di sostegno e controllo del ragazzo, forniscono al giudice ulteriori elementi per la valutazione del caso, chiariscono al minore ed alla sua famiglia il significato della misura, sono testimoni dell'evoluzione del ragazzo e dei processi di cambiamento attivati. In ordine di gravità sono previste:

1. Prescrizioni: obblighi o divieti inerenti lo svolgimento di attività di studio o di lavoro utili all'educazione del minore. Si propongono il fine di fornire al ragazzo rinforzi positivi che siano di aiuto nella strutturazione della personalità, attraverso l'esecuzione di specifici compiti finalizzati a favorire la crescita dell'autostima. Le prescrizioni perdono efficacia decorsi due mesi dal provvedimento con il quale sono state imposte dal giudice e non possono essere rinnovate più di una volta. I Servizi della giustizia minorile si occuperanno di seguire il minore e di informare il giudice sugli sviluppi delle attività. In caso di gravi e ripetute violazioni il giudice può disporre la misura di livello immediatamente superiore.

  1. Permanenza in casa: obbligo di stabilirsi presso l'abitazione familiare o un'altra dimora privata dopo aver valutato i rapporti esistenti tra il minore ed il suo ambiente familiare. In questo caso per il giudice è di fondamentale importanza la conoscenza diretta o tramite i Servizi dell'ambiente di provenienza del ragazzo. La misura infatti può essere applicata solo se esistono condizioni familiari in grado di garantire al minore il proseguimento dei processi educativi attivati. Nel caso in cui la famiglia sia inadatta a svolgere il compito al quale è chiamata, ovvero di vigilare le attività del minore e di collaborare con i Servizi (o vi siano gravi problemi di altra natura), è possibile che il giudice disponga l'esecuzione della misura presso un comunità pubblica o convenzionata.

A differenza degli arresti domiciliari che vengono applicati agli adulti, la permanenza in casa prevede che il giudice possa autorizzare il minore a mantenere una vita sociale in base alle sue esigenze educative e quindi a frequentare la scuola, corsi professionali, palestre e/o a prestare attività lavorativa. Nel corso dell'esecuzione della misura, i servizi minorili hanno il compito di valutarne l'andamento. In caso di gravi e ripetute trasgressioni da parte dell'imputato dei vincoli previsti dalla misura, il giudice può disporre l'applicazione della misura immediatamente superiore. È inoltre importante, per il buon esito della misura, la presenza di una rete territoriale di supporto che favorisca occasioni di aggregazione, di crescita culturale, di formazione professionale, di lavoro, come pure costituirebbe una valida risorsa la disponibilità di famiglie o persone affidatarie per i casi in cui non è possibile ricorrere al supporto della famiglia naturale del minore.

  1. Collocamento in Comunità: obbligo di permanenza presso una comunità pubblica o convenzionata, tra quelle che si occupano di problematiche giovanili e che presentano una organizzazione familiare. All'interno della comunità il minore, seguito da operatori sociali ed educatori, può partecipare ad attività ricreative, lavorative e di sostegno scolastico sulla base di piani di intervento personalizzati e nel rispetto delle sue esigenze. Anche in comunità il minore può essere tenuto a svolgere eventuali prescrizioni.
  2. Custodia cautelare in carcere: può essere applicata per delitti per i quali la legge ha stabilito l'ergastolo o la reclusione non inferiore a nove anni, e quando si procede per reati di violenza carnale; oltre a questi casi viene applicata, come aggravamento del collocamento in comunità (per un mese al massimo) ed ancora, se sussistono gravi e inderogabili esigenze attinenti le indagini, e quando ogni altra misura risulti inadeguata. Conclusa la fase delle indagini preliminari, se il caso non viene archiviato, il P.M. deposita la richiesta di rinvio a giudizio alla cancelleria del Giudice per l'Udienza Preliminare (G.U.P., organo collegiale).

Durante l'udienza preliminare, sono presenti un giudice togato e due giudici onorari, un uomo ed una donna. In questa sede il giudice può disporre l'allontanamento o l'accompagnamento coattivo del minore, che, in ogni caso deve comunque essere sentito ai fini dell'art.9 c.p.p.m, per gli accertamenti relativi alla sua personalità. Nel caso di accoglimento da parte del G.U.P. della richiesta di rinvio a giudizio, e comunque quando emerge la necessità di accertare in maniera più analitica l'evento delittuoso e la personalità del minore, si giunge all'udienza dibattimentale. In sede dibattimentale il collegio giudicante è composto da quattro membri: due togati (il presidente e un giudice a latere) e due laici (un uomo ed una donna giudici onorari). Alle udienze partecipa l'assistente sociale con un duplice ruolo: da un lato è interlocutore del giudice al fine di fornire ulteriori chiarificazioni o aggiornamenti rispetto alla condizione personale del minore; dall'altro svolge funzioni di sostegno e spiegazione riguardo le fasi processuali al minore e alla famiglia.

La conclusione dell'iter processuale nel processo minorile, in fase preliminare o dibattimentale, si può avere con una sentenza di condanna, di assoluzione o di non luogo a procedere per l'irrilevanza del fatto o per la concessione del perdono giudiziale. Nel caso di irrilevanza del fatto il reato compiuto deve apparire privo di significato criminoso e di concreto allarme sociale, per la tenuità delle conseguenze prodotte e l'occasionalità del comportamento deviante. Nel caso dell'istituto del perdono giudiziale, accertata la responsabilità penale del minore, il giudice si astiene dal pronunciare condanna o dal disporre il rinvio a giudizio, ritenendolo più vantaggioso ai fini del recupero del minore.

Il nuovo c.p.p.m. si propone di garantire che l'esperienza penale del ragazzo non si trasformi in esperienza destrutturante e diseducativa, attraverso il rispetto e l'attuazione di alcuni fondamentali principi quali :

 

  1. facoltatività dell'arresto ed utilizzo residuale della custodia cautelare;
  2. possibilità di rapida uscita dal circuito penale con specifici istituti;
  3. possibilità di sospendere il processo e di mettere alla prova il ragazzo;
  4. assistenza affettiva e psicologica in ogni stato e grado del procedimento;
  5. adeguatezza nell'applicazione delle norme alla personalità ed alle esigenze educative del minore;
  6. tutela della riservatezza. [8]

4. La Messa alla Prova e il ruolo dell'U.S.S.M.

La messa alla prova, detta anche “probation”, è uno degli strumenti più innovativi introdotti dal nuovo codice, essa consiste nella sospensione del processo da parte del giudice minorile con la messa alla prova (art.28 del D.P.R 488/88) del minore per la durata massima di tre anni; è sufficiente quindi che il giudice stabilisca di dover valutare la personalità del minorenne delegando ai Servizi i compiti di osservazione, trattamento e supporto. Al termine di tale periodo il giudice minorile potrà dichiarare estinto il reato qualora si ritenga, “tenuto conto del comportamento e della evoluzione della sua personalità [9] , che la prova abbia dato esito positivo.

L'ampio margine di discrezionalità attribuito al giudice si ricollega al principio di particolarità di ogni singolo caso [10] . A differenza dell'affidamento in prova ai Servizi Sociali, misura alternativa alla detenzione che può essere comminata agli adulti in seguito a condanna definitiva, per i minorenni il nuovo codice di procedura penale parla di “sospensione del processo e messa alla prova” quindi di una misura che precede la sentenza di condanna [11] . Il trattamento minorile quindi “trova collocazione a monte dell'iter penale, in una fase che potremmo definire ex ante , volta alla prevenzione non tanto e non solo del reato, quanto degli effetti negativi prodotti dall'immissione del minore nel circuito penale” [12] . Attraverso questa misura lo Stato concretamente invia un segnale di disponibilità verso il ragazzo, il giudizio viene sospeso al fine di favorire una possibilità di cambiamento, lo sviluppo positivo della sua personalità e, se la prova ha esito positivo, il reato può essere considerato estinto.

Le origini di questo istituto risalgono al 1841; a Boston un calzolaio in un aula giudiziaria sentì un alcolizzato dichiarare che, se avesse trovato una persona amica, sarebbe stato capace di cambiare. Si dice che quel calzolaio si sia dichiarato disponibile all'aiuto ottenendo dal giudice, sulla base del suo impegno, che l'alcolizzato non venisse condannato [13] . Con l'ordinanza di sospensione del procedimento giudiziario il giudice affida il ragazzo ai servizi della giustizia minorile che, in collaborazione con i servizi locali, svolgono le funzioni di osservazione, trattamento e sostegno.

L'avvio delle procedure per la messa alla prova si ha con la richiesta del giudice all'U.S.S.M. di un progetto educativo per il minore in questione. La sospensione può essere concessa a prescindere dalla gravità del reato e, in caso di gravi e ripetute trasgressioni, può essere revocata. La messa alla prova, attuata sulla base di un progetto educativo elaborato dai servizi minorili, comporta una periodica valutazione della personalità del minore. Terminato il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza e, se la prova ha dato esito positivo, dichiara estinto il reato; in caso contrario provvede alla prosecuzione del processo penale.

L'elaborazione del progetto è di pertinenza dell'Assistente Sociale e deve avere le seguenti caratteristiche: consensualità, adeguatezza, fattibilità, flessibilità.

La consensualità è intesa come la disponibilità e l'accettazione del progetto da parte del ragazzo e rappresenta quindi una premessa imprescindibile sul piano operativo. L'assistente sociale in questa fase preliminare alla definizione del progetto, assume il compito di informare il minore e la sua famiglia sugli aspetti della misura; fornisce elementi che possano aiutare il ragazzo nella decisione, per poi attivare processi di cambiamento. L'azione per il cambiamento è alla base dell'intervento di servizio sociale. È quel processo che fa sì che la persona si attivi in modo diverso nella stessa situazione [14] . Il consenso presuppone l'accertamento di responsabilità del soggetto.

Con il termine adeguatezza si intende che il contenuto del progetto deve essere pertinente da una parte alla personalità, alle capacità personali sociali e culturali del ragazzo e, dall'altra, al tipo di reato che ha commesso contemplando eventualmente anche la possibilità di una riconciliazione con la parte offesa.

Per fattibilità si intende che il progetto deve essere caratterizzato da una dimensione pragmatica dell'intervento, indicando chiaramente gli obiettivi da raggiungere, i tempi da rispettare, le risorse coinvolte (umane, ambientali, educative, ecc).

Per flessibilità si intende la definizione e ridefinizione del progetto in base all'esito delle azioni e delle verifiche intermedie; consente di rimodellare il progetto se si verificano imprevisti, se mutano le esigenze del minore, se vengono a mancare delle risorse.

Il ruolo del Servizio Sociale è di fondamentale importanza nel valutare la storia individuale del ragazzo, il grado di coinvolgimento del suo contesto familiare e gli elementi ambientali che lo circondano. Questa attività è necessaria sia nella fase iniziale, nella quale il progetto viene impostato partendo da un quadro generale per giungere agli aspetti sempre più specifici, che in quella attuativa. Durante la messa alla prova l'assistente sociale dovrà saper adempiere a funzioni:

  1. di sostegno al fine di garantire rinforzo e restituzione positiva nei momenti di crisi, conferma e stima rispetto ai piccoli passi effettuati o aiuto a superare i fallimenti nel quale il minore si è imbattuto.
  2. di controllo rispetto all'andamento del progetto anche al fine di rinegoziare modalità ed obbiettivi e poter esprimere la sua valutazione sull'evoluzione del percorso;
  3. di raccordo rispetto al giudice che ha il compito di adottare le decisioni sul caso sulla base delle indicazioni tecniche ed il buon esito della prova, ma anche rispetto ai servizi territoriali e a tutte le risorse a cui è possibile attingere [15] .

Tabella degli interventi effettuati dall'U.S.S.M. nell'anno 2004 [16] :

Nel 2004 ci sono state 23.000 segnalazioni da parte dell'Autorità Giudiziaria. Dalla tabella si può rilevare che i soggetti segnalati sono prevalentemente di nazionalità italiana (15.341 su 23.000). Di questi solo 1.417 sono di sesso femminile, il che conferma - per quanto riguarda la criminalità minorile di nazionalità italiana – che i soggetti di sesso femminile rappresentano una minoranza. Diverso invece il caso dei soggetti rom segnalati, per i quali si registrano 1.431 soggetti di sesso femminile su 3.145 totali. Diversificata anche la percentuale dei soggetti a piede libero sui segnalati (12.194 su 15.341 per gli italiani, 1.875 su 3.145 per i “nomadi” [17] e 2.767 su 4.514 per gli stranieri.

Per quanto riguarda l'applicazione delle misure cautelari, la misura più ricorrente risulta essere il collocamento in comunità (art. 22 D.P.R. 488/88), ma analizzando i dati nel dettaglio, si riscontra che questo è valido per gli utenti italiani mentre per rom e stranieri risulta prevalere l'applicazione della custodia cautelare (art. 23 D.P.R. 448/88). Anche per quanto riguarda gli interventi per applicazione dell'art. 28 del D.P.R. 488/88 prevalgono quelli a favore di soggetti italiani e la maggior parte dei progetti per l'applicazione della messa alla prova è elaborata nella fase del procedimento del G.U.P.

Per quanto riguarda gli interventi per applicazione di misure alternative alla detenzione invece, considerato che queste possono essere applicate solo ai definitivi, si rileva l'incidenza ridotta del numero degli interventi attuati dall'U.S.S.M. sul totale degli interventi. La misura alternativa di maggiore applicazione è l'affidamento in prova al servizio sociale (189 interventi su 366 progetti presentati), il maggiore scarto tra presentazione progetti e applicazione della misura si rileva per i soggetti rom (solo 38 interventi su 141 progetti presentati). Tra gli interventi per sanzioni sostitutive delle pene brevi, prevalgono gli interventi per applicazione della libertà controllata. L'applicazione delle misure di sicurezza infine, rappresentano una parte ancora più residuale degli interventi effettuati dagli U.S.S.M.

5. I soggetti segnalati e presi in carico [18]

Nella tabella 1.A e 1.B sono riportati i dati relativi gli U.S.S.M. dal 1998 al 2004. Si può osservare come tra il primo e l'ultimo anno il numero dei minori segnalati dall'Autorità Giudiziaria sia complessivamente aumentato dell'8%, mentre quello dei minori presi in carico dagli U.S.S.M. del 6%. L'utenza degli U.S.S.M. è in gran parte di nazionalità italiana (nel 2004, il 66% dei segnalati ed il 76% dei presi in carico). In aumento risulta pure l'incidenza percentuale dei minori stranieri sul totale dell'utenza; tale incidenza, infatti, è passata dal 9% del 1998 al 20% del 2004 per i soggetti segnalati e dal 6% del 1998 al 16% del 2004 per i soggetti presi in carico.

Tabella soggetti segnalati dall'Autorità Giudiziarie e soggetti presi in carico dagli U.S.S.M. per nazionalita dal 1998 al 2004

Tabella Composizione percentuale secondo la nazionalità. Anni 1998 – 2004

Dividendo il numero dei soggetti presi in carico per il numero dei segnalati (tabella 1.C ) si ottiene un rapporto che potrebbe essere considerato un indicatore della capacità di intervento degli U.S.S.M. rispetto alle esigenze del territorio. Nell'anno 2004 questo indicatore risulta del 60%, in diminuzione rispetto all'ultimo triennio. Alla diminuzione della capacità di intervento corrisponde un aumento del lavoro nei confronti dell'utenza rom e straniera che rimane comunque un'utenza difficile. Nei confronti di uno straniero non identificabile, in condizione di clandestinità, privo di legami familiari e di una rete di riferimento che possa essere di supporto al suo inserimento in un programma trattamentale risulta più difficoltoso, infatti, il lavoro di rete dei servizi sociali. Si può notare comunque, come l'incidenza percentuale dei rom e degli stranieri sul totale dell'utenza degli uffici di servizio sociale per minorenni sia aumentata nel periodo in esame.

Tabella 1.C – Rapporti percentuali tra soggetti presi in carico dagli U.S.S.M. e soggetti segnalati dall'Autorità Giudiziaria, secondo la nazionalità. Anni 1998 – 2004.

Nelle tabelle 2.A e 2.B è riportata, invece, l'incidenza percentuale dei soggetti di genere femminile rispettivamente sul totale dei soggetti segnalati e dei presi in carico. Dall'analisi dei dati si osserva che la componente femminile ha una notevole incidenza sull'utenza rom (il 46,7% dei presi in carico nel 2004, in aumento rispetto al 2003). Meno rilevante è invece la presenza femminile se si considera l'utenza italiana e straniera (l'8,4% per gli italiani e l'8% per gli stranieri).

Tabella 2.A – Incidenza percentuale dei soggetti segnalati di genere femminile sul totale dei segnalati, secondo la nazionalità. Anni 1998 – 2004.

Tabella 2.B – Incidenza percentuale dei soggetti presi in carico di genere femminile sul totale dei presi incarico, secondo al nazionalità. Anni 1998 – 2004.

L'incidenza della componente femminile negli anni dal 1998 al 2004 è maggiore tra i soggetti segnalati che tra quelli presi in carico, anche se la differenza tra i due indici si è ridotta rispetto ai primi anni in esame.

Nella tabella 3.A sono riportati i dati relativi ai soggetti segnalati dall'Autorità Giudiziaria ed ai soggetti che sono stati presi in carico dagli U.S.S.M. negli anni 1998-2004, disaggregati per area geografica di appartenenza del servizio.

Tabella 3.A – Soggetti segnalati dall'Autorità Giudiziaria e soggetti presi in carico dagli U. S. S. M., per nazionalità ed aree territoriali di appartenenza del servizio. Anni 1998 - 2004.

Dall'analisi dei dati, si evince che nell'anno 2004 al Nord si è registrato un aumento delle segnalazioni per gli stranieri mentre è diminuito il numero delle prese in carico e delle segnalazioni per quanto riguarda gli italiani. Accade il contrario al Sud, mentre solo nell'area Centrale si è osservato un incremento sia delle segnalazioni sia delle prese in carico. Nella tabella 3.B infine, sono riportati gli indicatori già presentati per l'intero territorio nazionale nella tabella 1.C .

Tabella 3.B – Rapporti percentuali tra soggetti presi in carico dagli U.S.S.M. e soggetti segnalati dall'A. G., per nazionalità e aree territoriali di appartenenza del servizio. Anni 1998-2004.

Nell'ultimo anno in esame, si osserva una diminuzione dell'indicatore riferito alle aree geografiche del Nord e delle Isole; in maniera netta in particolare per quanto riguarda i minori rom. Al Centro, il valore dell'indicatore complessivo è in diminuzione; nel dettaglio, è in aumento quello degli stranieri. Al Sud, nel 2004, si registra un aumento dell'incidenza del numero dei soggetti presi in carico rispetto ai segnalati riguardante, in maniera particolare, l'utenza italiana.

6. Gli interventi [19]

a. Le misure cautelari

I dati riportati nelle tabelle 4 e 5, riguardano l'applicazione delle misure cautelari previste dal D.P.R.448/88: prescrizioni (art.20), permanenza in casa (art.21), collocamento in comunità (art.22) e custodia cautelare (art.23). Per l'utenza di nazionalità italiana prevale l'applicazione di misure cautelari non detentive, ossia prescrizioni, permanenza in casa e collocamento in comunità; per i rom e per gli stranieri è, invece, maggiormente applicata la custodia cautelare.

Secondo il principio di scalarità delle misure cautelari, le prescrizioni si situano al primo posto (per minore afflittività); hanno il fine di produrre nel ragazzo rinforzi positivi che lo aiutino nella ristrutturazione della personalità, attraverso l'esecuzione di specifici compiti intesi a favorire la crescita dell'autostima e dell'arricchimento personale (obblighi o divieti inerenti attività di studio, di lavoro o di altre attività utili alla sua educazione). Nel corso dell'esecuzione della permanenza in casa, i servizi minorili hanno il compito di monitorare l'andamento della misura e di richiedere eventuali modifiche all'Autorità Giudiziaria nel rispetto delle esigenze del minore e dei processi educativi in corso.

La permanenza in casa prevede l'obbligo di stare presso l'abitazione familiare se questo è ritenuto opportuno ed attuabile in seguito ad un'attenta analisi del tipo di rapporti esistenti tra il ragazzo e l'ambiente familiare di appartenenza. In caso non sussistano condizioni idonee presso l'abitazione familiare, è possibile che il giudice disponga l'esecuzione della misura presso una comunità pubblica o convenzionata. Ai responsabili di quest'ultima, viene fatto obbligo di collaborare con i genitori e con i servizi minorili affidatari.

Il collocamento in comunità prevede la permanenza del ragazzo presso una comunità pubblica o autorizzata dalla Regione competente; al minore è vietato di allontanarsi se non su autorizzazione del giudice per l'adempimento di prescrizioni inerenti attività utili alla sua educazione. All'interno della comunità il minore può partecipare ad attività educative sulla base di un programma di intervento individuale concordato nel rispetto delle sue esigenze.

La custodia cautelare viene applicata in caso di delitti per i quali la legge preveda la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni. Può essere disposta se sussistono gravi motivi attinenti le indagini, se è possibile che l'indagato fugga, e/o se le circostanze del reato e la personalità del minore prospettano la possibilità di ulteriori delitti gravi.

Tabella 4 – Interventi attuati dagli U.S.S.M. per applicazione di misure cautelari, nazionalità e sesso dei soggetti. Anno 2004.

b. La sospensione del processo e messa alla prova (art.28 D.P.R. 448/88).

L'applicazione dell'art.28 del D.P.R.448/88 rappresenta una parte importante del lavoro svolto dagli Uffici di Servizio Sociale per Minorenni. L'elaborazione del progetto di messa alla prova e la successiva applicazione richiedono un particolare investimento di risorse ed energie da parte dei Servizi e non possono prescindere da un coinvolgimento cosciente e responsabile dei minori interessati. Un ruolo determinante rivestono le caratteristiche personali del ragazzo che possono rendere possibile il suo “recupero” grazie anche all'attivazione delle risorse del territorio, delle figure parentali adulte di riferimento, e delle risorse educative dell'ambiente di provenienza. Sulla base di quest'ultime i servizi sociali elaborano il progetto di messa alla prova, che deve necessariamente essere accettato e condiviso dal ragazzo.

L'istituto della messa alla prova tende a non interrompere i processi di crescita del ragazzo, puntando al suo “recupero” sociale in quanto in una personalità in crescita, quale è quella del minorenne, il singolo atto trasgressivo non può essere considerato indicativo di una scelta di vita “deviante”.

 

Tabella 5 – Interventi attuati dagli U.S.S.M. ai sensi dell'art. 28 del D.P.R. 448/88. Anno 2004.

Dalla tabella 5 si evince che gli interventi per applicazione dell'art.28 D.P.R.448/88 riguardano principalmente i soggetti italiani (83%) e che la maggior parte dei progetti di messa alla prova è elaborata nella fase dell'udienza preliminare.

La sospensione del processo con messa alla prova (art. 28 D.P.R. 448/88) rappresenta una delle innovazioni più significative del processo penale minorile, in quanto tutte le ipotesi di probation , applicate anche in altri Paesi, suppongono la pronuncia di una sentenza di condanna. Questa misura si basa sul presupposto che il “recupero” sociale ragazzo sia più probabile nel suo ambiente abituale di vita: la detenzione, al contrario, isolerebbe il soggetto dal suo contesto sociale e familiare.

L'art. 28 prevede, quindi, la possibilità per il giudice di sospendere l'iter processuale per un periodo non superiore a tre anni. Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il ragazzo ai Servizi della giustizia minorile che, in collaborazione con i Servizi locali, svolgono un'attività di osservazione, educazione e sostegno e verificano l'osservanza delle prescrizioni del giudice. L'ordinanza di sospensione può anche contenere prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa dal reato.

Il grafico seguente, inerente il periodo 1992-2003, mette in evidenza l'andamento crescente del numero dei provvedimenti di sospensione del processo per messa alla prova.

Grafico 1 - Provvedimenti di messa alla prova ex art. 28 D.P.R. 448/88 negli anni 1992 – 2003

L'analisi secondo la tipologia di reato è stata effettuata considerando il reato più grave. Dall'esame dei dati riportati nella tabella 6 si osserva la prevalenza dei reati contro il patrimonio, soprattutto furto e rapina, seguiti dalle violazioni delle disposizioni contenute nel D.P.R.309/90 in materia di sostanze stupefacenti e, nell'ambito dei reati contro la persona, dalle lesioni personali volontarie.

Tabella 6- Provvedimenti di messa alla prova ex art. 28 D.P.R. 448/88 secondo il reato più grave. Anno 2003

La durata media della prova è di 9,2 mesi, (nel 2002 la durata media era di 9,6 mesi). La durata risulta essere più lunga per reati quali l'omicidio, la violenza sessuale, la rapina semplice o aggravata e l'estorsione semplice o aggravata. Il comma 1 dell'art.28 D.P.R.448/88 prevede che la prova possa superare l'anno, fino ad un massimo di tre anni, solo “per reati per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni”. Esiste pertanto un limite massimo per la durata della prova, ma non un limite minimo.

Nel 2003 i casi in cui la durata della prova ha superato l'anno corrispondono al 9% del totale e risultano in lieve diminuzione rispetto all'anno precedente. Nella tabella 7 è stata calcolata la durata media della prova in corrispondenza di alcune tipologie di reato. E' possibile constatare come, nell'anno 2003, la durata della prova mediamente più lunga riguardi il reato di omicidio. Anche i reati di violenza sessuale, rapina, estorsione e le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti registrano durate superiori a quella media.

Tabella 7- Provvedimenti di messa alla prova ex art. 28 D.P.R. 448/88 per alcuni tipi di reato e corrispondente durata media della prova. Anno 2003

É di fondamentale importanza l'elaborazione di un progetto di intervento, così come indicato nell'art. 27 del D.leg.vo 272/89, contenente le norme di attuazione del Dpr 448/88. Il progetto di intervento deve essere elaborato dai servizi dell'amministrazione della giustizia in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali e poi accettato dal ragazzo.

Il lavoro di équipe nella elaborazione e gestione dei progetti è di fondamentale importanza come la collaborazione tra i vari enti che si occupano della gestione del progetto di messa alla prova. Come si evince dai dati riportati nella tabella 8, la maggior parte dei progetti viene elaborata dall'U.S.S.M. in collaborazione con altri enti.

Tabella 8– Gestione progetti. Anno 2003

Dalla tabella 9 risulta in particolare la forte partecipazione del privato sociale e dei servizi sociali del comune di appartenenza.

Tabella 9 – Progetti in collaborazione tra U.S.S.M. ed Enti locali secondo l'Ente che ha collaborato. Anno 2003

 

c. Le misure alternative

Nella tabella 10 sono riportati i dati relativi agli interventi attuati in applicazione delle misure alternative alla detenzione. Considerato che queste ultime possono essere applicate esclusivamente ai soggetti definitivi, il numero degli interventi attuati dall'U.S.S.M. in questo senso, sia per i progetti sia per le applicazioni, ha una bassa incidenza numerica sul totale degli interventi attuati.

Tabella 10 – Interventi attuati dagli U.S.S.M. per applicazione di misure alternative. Anno 2004.

La misura alternativa di maggiore applicazione è l'affidamento in prova al servizio sociale, per applicazione della L.354/75 recante norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Nel 2004, sono stati effettuati 366 interventi per la presentazione di progetti di affidamento e 189 per le relative applicazioni. Considerando la nazionalità, si nota la prevalenza dell'intervento a favore di italiani, ma si nota anche che una buona parte dei progetti presentati riguardano ragazzi rom e stranieri. Rimane tuttavia un forte scarto tra la presentazione e l'applicazione dei progetti. Gli interventi per l'applicazione delle altre misure alternative alla detenzione risultano meno frequenti (63 per la detenzione domiciliare e 1 per la semilibertà).

d. Le sanzioni sostitutive

Con riferimento alle sanzioni sostitutive, la maggior parte degli interventi riguarda la libertà controllata, sia in fase di progettazione sia dopo la concessione. In numero inferiore invece, gli interventi in seguito alla concessione della semidetenzione.

Tabella 3.7 - Interventi Attuali dell U.S.S.M. per applicazione di sanzioni sostitutive. Anno 2004

7. La rete territoriale , i rapporti con gli I.P.M., i progetti [20]

Gli U.S.S.M. si impegnano in attività volte a prevenire il disagio e la devianza minorile nonché a diffondere una cultura comune per la tutela dei minori a rischio costruendo sinergie tra i vari attori sociali per una presa in carico ad ampio raggio del minore a rischio e del minore “deviante”. La previsione normativa del vincolo reciproco di collaborazione ed interazione dei Servizi territoriali e Servizi della giustizia minorile è una specificità del settore minorile.

L'U.S.S.M., anche per poter rispondere adeguatamente al proprio mandato istituzionale che implica il lavoro di rete, mantiene ed incrementa i rapporti interistituzionali sia con le altre amministrazioni pubbliche che con gli organismi territoriali. I programmi di trattamento possono coinvolgere, ad esempio, consultori familiari, servizi per le tossicodipendenze, servizi di neuropsichiatria infantile o di igiene mentale.

Di notevole entità risultano i rapporti con i Comuni sia per l'attuazione della L.285/97 che della L.328/00. Degli U.S.S.M. contattati, la maggioranza segnala una collaborazione molto intensa con il Comune del territorio di competenza dalla quale derivano lo scambio di informazioni utili ad acquisire elementi conoscitivi sul minore in carico, l'individuazione di risorse idonee ad affrontare le difficoltà del minore, la progettazione condivisa di percorsi di crescita. In merito alla collaborazione con i Comuni soprattutto per l'attuazione della L.285/97, l'U.S.S.M. di Palermo segnala l'Accordo di Programma per l'adozione di servizi distrettuali per la valorizzazione della famiglia (nella città di Marsala) e, a Palermo, i progetti promossi dal C.G.M. quali l'Ufficio di mediazione penale minorile, il “Progetto Obiettivo” proposto e seguito direttamente dall'U.S.S.M., ed il progetto “Le Route”.

Gli U.S.S.M. collaborano con altri enti attraverso la presa in carico congiunta sia di minori a piede libero che di minori sottoposti a particolari misure. Anche se non sono pervenuti dati significativi di particolari difficoltà di collaborazione con i servizi dell'ASL, è stata segnalata una “resistenza” di tipo culturale da parte di quest'ultima nei confronti dell'utenza dell'U.S.S.M..

L'U.S.S.M. può collaborare a seconda dei casi sia a livello operativo, partecipando a progetti o prendendo in carico utenti, sia nella fase istituzionale e di programmazione degli interventi partecipando a Conferenze di Zona e Tavoli permanenti su temi specifici; realizza inoltre progetti integrati e accordi operativi con altri servizi della giustizia minorile. Ad esempio a Catania esiste un accordo operativo tra U.S.S.M. e I.P.M. per quanto riguarda la gestione di minori sottoposti al riesame della misura cautelare e la sperimentazione relativa al trattamento di minori in permesso premio. A Firenze i rapporti tra U.S.S.M. e I.P.M. sono stati regolati in passato per mezzo di Protocolli che sono ora in fase di ridefinizione come accordi operativi, nel rispetto di quanto previsto dalle circolari del D.G.M. e dalla normativa che stabiliscono gli ambiti entro i quali operare. Fino a poco tempo fa inoltre, presso l'I.P.M. di Firenze si era costituito un gruppo ad hoc di assistenti sociali al quale la direzione dell'U.S.S.M. aveva assegnato un ruolo di riferimento per i casi di minori presenti in I.P.M. al fine di agevolare la continuità del trattamento.

Proprio la collaborazione con l'I.P.M. si rivela per tutti gli U.S.S.M. molto intensa e questo perché - salvo poche eccezioni - il minore che entra in I.P.M. è di norma già in carico all'U.S.S.M., che fornisce all'Istituto tutta la documentazione utile riguardante il minore. Inoltre, durante la detenzione l'assistente sociale mantiene la relazione con il minore ed il suo nucleo fornendo il proprio contributo per la costruzione di un piano di trattamento interno e, nella fase delle dimissioni, ha un ruolo particolarmente importante nell'individuare, laddove è possibile, un percorso che favorisca il reinserimento sociale, formativo e/o lavorativo del ragazzo.

Oltre alla collaborazione di enti e servizi istituzionali, l'U.S.S.M. si avvale della collaborazione del privato sociale e delle associazioni di volontariato. Notevole importanza riveste la collaborazione con il terzo settore per la realizzazione di progetti di pubblica utilità da parte di minori sottoposti all'istituto giuridico della sospensione del processo e messa alla prova. Sono state segnalate relazioni frequenti, per quanto riguarda al formazione professionale e l'inserimento lavorativo, con realtà istituzionali e non, che hanno il compito di favorire l'approccio al mondo del lavoro (agenzie del lavoro, servizi di orientamento al lavoro, Centri per l'Impiego). Da evidenziare che l'U.S.S.M. si rivolge alle associazioni di volontariato non solo perché possano mettere a disposizione dei minori e dei nuclei familiari le loro risorse, ma anche per la realizzazione di percorsi in cui è il minore a prestare il proprio contributo come volontario.

Va segnalato inoltre un ultimo dato che non è presente nelle relazioni forniteci dagli U.S.S.M. contattati, ma che è emerso in occasione di colloqui informali con il personale impiegato a vari livelli negli I.P.M. ossia l'importanza di un canale informale fatto di contatti personali, amicizie e conoscenze dei singoli operatori che in qualche caso facilitano le opportunità di inserimento sociale, formativo o lavorativo dei minori inseriti nel circuito penale, soprattutto laddove la generale carenza di lavoro e di specifici servizi di orientamento rendono più difficile il reperimento nel territorio di risorse ad hoc utili al reinserimento sociale e lavorativo dei minori sottoposti a trattamento.


7.a. I progetti: finalità e professionalità coinvolte

Come si può osservare dalla tabella seguente [21] , l'U.S.S.M. ha in carico un numero considerevole di minori soprattutto se si considera che il Servizio ha in carico anche i minori presenti negli altri Servizi minorili.

Utenza dei Servizi della Giustizia Minorile al 30 aprile 2004

Minori

Totale

 

m

f

mf

Presenti in C.P.A.

24

12

36

Collocati in comunità

470

37

507

Detenuti in I.P.M.

454

65

519

In altra posizione, seguiti dagli U.S.S.M.*

7.537

777

8.314

Utenza complessiva

8.485

891

9.376

Minori

di cui: Italiani

di cui: Stranieri

 

m

f

mf

m

f

mf

Presenti in C.P.A.

14

-

14

10

12

22

Collocati in comunità

307

18

325

163

19

182

Detenuti in I.P.M.

234

7

241

220

58

278

In altra posizione, seguiti dagli U.S.S.M.*

6.541

610

7.151

996

167

1.163

Utenza complessiva

7.096

635

7.731

1.389

256

1.645

 

Come si è visto, l'U.S.S.M. collabora con gli altri servizi della Giustizia minorile, enti del territorio, no profit, volontariato, non solo per la raccolta o lo scambio di informazioni sui minori presi in carico ma anche per la realizzazione di progetti. I progetti possono essere rivolti ai minori a rischio, minori inseriti nel circuito penale, alle famiglie di minori in difficoltà, ai minori vittima di abuso o di violenza, agli studenti (molti incontri formativi con studenti hanno per tema l'educazione alla legalità), a soggetti che a vario titolo lavorano nell'ambito della prevenzione del disagio minorile (ad esempio percorsi di formazione per la creazione di reti interistituzionali o progetti di ricerca sociale).

Rispetto alla gestione dei progetti rivolti a minori, le figure coinvolte sono quelle dell'educatore, dell'animatore, dello psicologo, dell'agente di polizia penitenziaria (all'interno delle strutture) mentre all'interno degli U.S.S.M. collaborano psicologi, assistente sociali, educatori. L'U.S.S.M. di Catania, in considerazione della ricca attività progettuale presente sul territorio, ha costituito al proprio interno un'area progettazione al fine di dare maggiore pregnanza e sistematicità alla modalità operativa del lavoro per progetti. L'Ufficio garantisce quindi una presenza stabile di riferimento per ogni singolo progetto.

Delle attività progettuali, alcune sono state promosse e finanziate con fondi dell'Amministrazione della Giustizia, altre da leggi nazionali come la L.328 /00, la L.285 /97, il D.P.R. 309/90 (Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga), da fondi F.S.E., regionali, del Comune, del Ministero della Pubblica Istruzione, dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Previdenziali, o attraverso risorse locali quali l'associazionismo ed il privato sociale. L'obiettivo generale è quello della costruzione di un sistema che veda coinvolte le istituzioni pubbliche e il privato sociale per un approccio multiprofessionale alla complessità del disagio e per lo sviluppo di azioni integrate.

Le finalità dei singoli progetti che coinvolgono i minori, sui quali ci sono pervenute informazioni approfondite, sono riconducibili alla:

  • risocializzazione” e reinserimento nel tessuto sociale;
  • creazione di opportunità lavorative e di volontariato;
  • sensibilizzazione e prevenzione sui temi della legalità;
  • creazione di occasioni formative con la finalità di far acquisire abilità sociali e professionali;
  • prevenzione della marginalizzazione di minori sottoposti a procedimenti penali.

A Cagliari è stato realizzato il Progetto “Giovani al lavoro”, finanziato dall'Amministrazione della Giustizia ma non riavviato per mancanza di fondi. Il progetto aveva la finalità di avvicinare alcuni minori al mondo del lavoro attraverso l'inserimento guidato e sostenuto da un educatore in realtà produttive di dimensioni ridotte nelle quali il tutor aziendale, oltre ad orientare professionalmente il ragazzo, potesse costituire un riferimento positivo.

Sono stati realizzati inoltre progetti per la creazione di banche che potessero facilitare l'accesso alle risorse del territorio; a Bologna è stata realizzata ad esempio, una banca dati sulle risorse del territorio rivolte ad adolescenti con particolare attenzione alle attività socialmente utili da inserire nei progetti di messa alla prova. È inoltre in corso di aggiornamento la banca dati sulle Comunità del territorio utilizzate per l'attuazione di misure penali e di percorsi quali la messa alla prova (art.28 L.488/88).

Tra i progetti rivolti ad utenti adulti possono essere menzionati quelli di mediazione familiare rivolti a genitori di minori a rischio o inseriti nel circuito penale; tali progetti sono finalizzati al recupero del rapporto genitore/figlio adolescente e alla prevenzione di possibili comportamenti a rischio dell'adolescente. Il Servizio di mediazione familiare che coinvolge l'U.S.S.M. di Palermo – sezione distaccata di Trapani, il Comune di Marsala, la Prefettura di Trapani, il Comune di Petrosino ed il Consultorio familiare di Marsala - si rivolge a genitori separati o divorziati di minori sottoposti a procedimento penale e/o segnalati dall'Autorità Giudiziaria minorile. Attraverso l'ausilio di mediatori, si propone gli obiettivi di agevolare il ripristino della comunicazione tra i genitori, attenuare i conflitti coniugali nell'interesse dei figli, elaborare accordi condivisi ed equi.

I progetti che coinvolgono le famiglie di minori a rischio o inseriti nel circuito penale rappresentano un fondamentale elemento di rafforzo e supporto al programma trattamentale elaborato a favore del minore. Più difficile risulta, invece, sia l'individuazione di un programma trattamentale sia l'elaborazione di progetti laddove il minore è sprovvisto di figure familiari di riferimento (ad esempio nel caso di minori stranieri non accompagnati). A questo proposito sembra interessante segnalare il progetto di Affido Omoculturale dell'U.S.S.M. di Bologna a favore di bambini ed adolescenti stranieri che prevede il reperimento di un gruppo di famiglie maghrebine e la realizzazione di percorsi di formazione e sensibilizzazione anche attraverso il contributo professionale di mediatrici culturali. Nel 2004 è stata realizzata la seconda fase, con l'ampliamento del gruppo di famiglie interessate, la ripetizione del corso di formazione già realizzato nel periodo ottobre-novembre 2003, e la realizzazione dei primi affidi. Il gruppo di famiglie così formate, anche se non costituiscono una risorsa immediatamente fruibile, potrebbe rivelarsi nel tempo una valida risorsa alternativa al collocamento in comunità.

Il supporto di mediatori culturali in molti casi rientra nella prassi dell'intervento dei servizi minorili, come nel caso del Progetto di Mediazione Culturale attivato dall'U.S.S.M. di Perugia del quale riportiamo l' abstract .

 

Progetto Mediazione Culturale avviato nel 2005, nel mese di giugno con finanziamento nell'ambito del budget del CGM di Firenze.

Il progetto è finalizzato ad agevolare il rapporto dei minorenni stranieri e delle loro famiglie con il contesto penale minorile nel quale si trovano coinvolti, nonché con il contesto sociale di appartenenza. Destinatari sono minorenni stranieri in carico al servizio, sia in fase conoscitiva che trattamentale, in una quantità che potrà essere determinata a consuntivo, vista la scarsità di fondi a disposizione.

L'attuazione è regolata da una convenzione con il CIDIS-Alisei ONLUS, organizzazione che si occupa a vari livelli di immigrazione, la quale mette a disposizione due mediatori culturali che operano con due modalità. Sia lavorando direttamente con i minorenni e lo loro famiglie per facilitare la comprensione dell'iter penale, del ruolo dei vari soggetti coinvolti (giudici, operatori, servizi ecc.) del significato delle misure penali eventualmente applicate; sia affiancando gli operatori per integrare ed agevolare nella lettura del fatto-reato e nella individuazione degli interventi più opportuni, non solo in ambito penale, in relazione ai bisogni espressi dal minorenne e dalla sua famiglia.

All'attività relativa alla casistica, si affianca un lavoro di autoformazione, tramite incontri periodici, del gruppo di lavoro costituito dagli operatori dell'USSM, dai mediatori culturali e da un formatore messo a disposizione dal CIDIS. Tale attività è finalizzata ala costruzione di modelli di intervento e all'approfondimento di specifiche problematiche.

 

I minori stranieri che vivono in Italia

I minori stranieri possono essere distinti in base alla loro condizione giuridica, il luogo di nascita, la situazione familiare, le modalità di arrivo nel Paese di accoglienza

Bambini nati in Italia – I minori stranieri nati in Italia rappresentano il 10/12 per cento dei nati in alcune grandi città quali Milano o Torino. Spesso sono portatori di storie drammatiche di rotture affettive; può succedere che debbano separarsi dalla madre che vive in Italia per essere riportati nella patria di origine dei genitori dove sono affidati ad altri parenti. In seguito possono ricongiungersi ai genitori o ad un futuro coniuge e subire così un nuovo distacco affettivo. I soggetti più fragili di questo gruppo appartengono ad un nucleo monoparentale, la madre sola è costretta a dividere il suo tempo tra il lavoro (in genere di colf o collaboratrice domestica) e la gestione dei figli, spesso senza il supporto di una rete parentale. Da un punto di vista giuridico, si tratta di bambini che possono far richiesta della cittadinanza italiana una volta raggiunta la maggiore età.

I minori ricongiunti – Sono i figli coppie che in genere vivono da diverso tempo sul territorio italiano per cui presumibilmente hanno le caratteristiche giuridiche per poter richiedere il ricongiungimento dimostrando di essere in grado di provvedere al sostentamento dei figli in Italia. Anche in questo caso il minore deve affrontare il distacco affettivo dall'ambiente familiare che si è occupato di lui prima della partenza ed imparare a convivere con un genitore con il quale da tempo aveva un rapporto a distanza. Sia i minori ricongiunti che i bambini stranieri nati in Italia, possono comunque contare sulla protezione di un nucleo familiare.

Minori non accompagnati – Sono i minori che hanno affrontato il viaggio e l'ingresso nel nuovo Paese da soli. Hanno di solito un'età compresa tra i 12 ed i 17 anni. A volte sono accompagnati da un parente lontano o da una persona “di fiducia” ma quasi sempre si ritrovano a vivere da soli ed in condizioni di marginalità. A volte si affidano alla sorte attratti da prospettive di vita migliori o cadono vittima del racket dell'immigrazione clandestina. La provenienza di solito è circoscritta a determinate aree (Nord africa, paesi dell'Est), presupposto che dovrebbe facilitare all'attivazione di misure di prevenzione ad hoc . I minori non accompagnati presentano molteplici elementi di vulnerabilità tra i quali l'urgenza di doversi procurare un reddito immediato, la carenza di luoghi sicuri di aggregazione, condizioni di vita e di alloggio precarie e marginali che li spingono a muoversi sul territorio alla ricerca di “opportunità” e guadagni [22] .

Segnaliamo un progetto realizzato dall'U.S.S.M. nella provincia di Milano che prevede un intervento ad ampio raggio in grado di coinvolgere minori soggetti a provvedimenti penali, genitori, la rete dei servizi sensibili al problema della prevenzione del disagio minorile, le risorse produttive locali.

Denominazione progetto: “Percorsi di crescita”

Destinatari del Progetto: minori soggetti a provvedimenti del Tribunale dei minori - genitori

Risultati attesi:

I. Responsabilizzazione locale sulla consistenza effettiva del problema della “questione minori”, nel comprensorio della Convenzione Intercomunale, per quanto riguarda la densità del fenomeno e le risposte necessaria.

II. Ampliare questa forma di lettura consapevole del fenomeno con il coinvolgimento del territorio attraverso tutti i vettori che direttamente e indirettamente toccano il tema dei minori a rischio di emarginazione.

III. Sedimentare e lasciare come strumento di gestione anche autonoma o semi-autonoma la tecnica dell'auto-aiuto genitoriale.

IV. Specializzare l'intervento mirato sui minori, con il rapporto di accompagnamento diretto.

V. Contribuire a completare la rete delle attività sociali della Convenzione Intercomunale con il nodo strutturato sulla prevenzione verso i fattori di rischio che possano coinvolgere i minori.

VI. Codificare una banca dati delle risorse produttive locali sensibilizzate dall'esperienza diretta dell'accoglienza dei minori in training socio-lavorativo.

Ricavare e mettere a punto, nel corso del Progetto, un collegamento informativo e di scambio operativo tra il sistema delle Politiche sociali e il sistema delle Politiche per il lavoro.

Descrizione del Progetto

1) Inserimento lavorativo di adolescenti a rischio di emarginazione o con palesi sintomi di devianza. Questa azione prevede l'attività specifica di orientamento e inserimento lavorativo attraverso le procedure del tirocinio formativo, incentivate con il sussidio delle borse lavoro, e l'affiancamento individuale, sulla traccia di percorsi personalizzati elaborati dall'équipe e condotti dall'educatore professionale.

2) Sostegno ai ragazzi inseriti nel Progetto tramite la promozione di gruppi di auto aiuto. Questa azione prevede la progettazione, la promozione e l'attuazione dello strumento di confronto relazionale guidato secondo la metodica del “gruppo di auto aiuto” tra ragazzi che stiano affrontando lo stesso percorso di orientamento e individuazione attraverso il training di adeguamento sociale dell'inserimento lavorativo. L'esperienza e il vissuto della situazione di gruppo “guidata” rappresenta un valido supporto al tirocinio lavorativo in quanto permette di recuperare momenti di disaffezione e di stanchezza, condizioni emotive che mettono a rischio la continuità degli stessi training, e facilita i processi di socializzazione in quanto la presenza di figure di riferimento adulte (conduttori di gruppo) serve a stimolare i soggetti passivi e a guidare quel confronto tra le esperienze individuali che consente ai ragazzi di affinare le capacità relazionali e di sviluppare quelle cognitive.

3) Sostegno alle famiglie dei ragazzi inseriti nel progetto e costituzione del gruppo delle famiglie dei ragazzi sottoposti a provvedimento penale. Per quanto riguarda le famiglie dei ragazzi a rischio di devianza, il lavoro di gruppo aiuta i genitori ad evitare comportamenti particolarmente giudicanti o di irrigidimento autoritario nella relazione genitoriale o di una “idealizzazione” del modello familiare (ecc.), con il conseguente innesco dei fattori di comunicazione distorta, di colpevolizzazione, di isolamento affettivo che possono produrre le condizioni fertili per le forme di emarginazione e di devianza sociale. Il gruppo guidato da un esperto della comunicazione stimola la “scoperta” delle cause che hanno generato il disagio dei figli. In tale modo vengono evidenziate le risorse personali di ogni coppia e viene individuata la strategia del gioco delle parti adottata nella gestione del ruolo genitoriale. Per completare questa azione e per integrare la capacità di ascolto degli adulti verso gli adolescenti, il gruppo dei genitori potrà essere messo in condizioni di scambiare le osservazioni e il vissuto sul comportamento adolescenziale dei figli con quelli di adulti con ruolo educativo istituzionale.

Si ipotizza di avviare l'attività innovativa del gruppo di auto-aiuto dei genitori, dopo quello dei ragazzi, per consolidare e sviluppare il progetto d'inserimento lavorativo, perché risulta fondamentale, per il minore a rischio di devianza, “sentire” che i genitori condividono e sostengono il progetto in cui è coinvolto.

Una seconda fase prevede di estendere il progetto del lavoro di gruppo alle famiglie che hanno figli coinvolti in procedimenti penali, attraverso la composizione di un gruppo integrabile con genitori di adolescenti “normali. Obiettivo che si spera di raggiungere in questa fase é il rafforzamento dell'autostima genitoriale e il contenimento elaborato del senso di incompetenza educativa o, più decisamente, del sentimento di colpa.

Peculiarità degli interventi dell'U.S.S.M. sono l'attivazione e costruzione di reti, anche attraverso accordi interistituzionali, che possano rappresentare un luogo di sviluppo, confronto e verifica degli interventi rivolti ai minori. Si riportano a questo proposito, due schede – progetto (A e B) - gentilmente fornite dall'U.S.S.M. di Palermo.

Scheda A

Tipo di accordo

Accordo di rete interistituzionale

Denominazione:

Accordo di Rete interistituzionale dell'Unità di primo livello San Filippo Neri per la promozione del benessere e la prevenzione del disagio adolescenziale e giovanile della VII circoscrizione

Data di sottoscrizione:

15/04/2005

Durata:

Triennale - rinnovabile

Oggetto dell'accordo:

Attivazione sperimentale di un sistema di rete territoriale nell'unità di primo livello San Filippo Neri della VII circoscrizione che favorisca l'esercizio condiviso e concertato delle azioni per l'organizzazione, il monitoraggio e la verifica delle materie attinenti le politiche dello sviluppo locale.

Enti coinvolti:

Dipartimento Giustizia Minorile – U.S.S.M. Palermo

Comune di Palermo

ASL 6 Distretto 13

Azienda Ospedaliera “V.Cervello”, Ufficio Educazione alla Salute

Scuole

Enti no profit

Associazioni di volontariato

Ambito territoriale:

VII circoscrizione, Comune di Palermo

U.P.L. “San Filippo Neri” (Ex Zen 1 e Zen 2)

Destinatari:

Minori, giovani adulti e loro famiglie afferenti al territorio dello Zen

Obiettivi/finalità:

Promuovere e sostenere iniziative orientate a prevenire il disagio adolescenziale e giovanile

Sostenere azioni dirette a promuovere la cultura della legalità

Realizzare un sistema integrato di interventi a sostegno dei singoli e delle famiglie

Promuovere ed attivare interventi di rete tra le istituzioni che hanno competenze in materia di infanzia, adolescenza e gioventù

Organizzazione di un sistema integrato sociale, sanitario, educativo, d'istruzione e formazione professionale

Integrazione dell'offerta dei servizi atti a garantire ai bambini, adolescenti e giovani, la piena integrazione sociale

Definizione di una strategia di interventi mirati a qualificare il territorio

Impegni assunti dalla Giustizia Minorile:

Partecipazione all'attivazione dell'Accordo di rete attraverso al Presidenza del gruppo di coordinamento, la gestione della segreteria organizzativa della rete, la disponibilità di risorse umane nell'ambito dei gruppi di lavoro

Impegni assunti dagli altri partner:

Rappresentare al rete territoriale costituita

Ricerca, studio, promozione della progettazione integrata

Definizione degli strumenti e delle modalità di lavoro

Segnalazione e proposte, al gruppo di coordinamento, delle azioni da prendere in considerazione

Altro:

Referente: Carmela Polizzi

Scheda B

Tipo di accordo

Accordo di programma - quadro

Denominazione:

Accordo di Programma – quadro per lo sviluppo dell'area Zisa – Noce della V° circoscrizione di Palermo

Data di sottoscrizione:

25/06/03

Durata:

Triennale - rinnovabile

Oggetto dell'accordo:

Gli Enti firmatari dell'accordo si impegnano ad implementare un sistema finalizzato allo sviluppo locale integrato e governato del territorio Zisa – Noce della V circoscrizione di Plermo, nel rispetto delle competenze istituzionali e dell'ordinamento vigente secondo il metodo della concertazione e della pianificazione e programmazione partecipata. L'oggetto dell'accordo pertanto consiste nell'attivazione di un sistema di rete territoriale a livello locale sull'area Zisa – noce, che favorisca l'esercizio condiviso e concertato delle funzioni di programmazione, organizzazione, monitoraggio e verifica per le materie delle politiche dello sviluppo locale. Attivazione sperimentale di un sistema di rete territoriale nell'unità di primo livello San Filippo Neri della VII circoscrizione che favorisca l'esercizio condiviso e concertato delle azioni per l'organizzazione, il monitoraggio e la verifica delle materie attinenti le politiche dello sviluppo locale.

Enti coinvolti:

Comune di Palermo

U.S.S.M.

C.S.S.A.

ASL 6

Istituti scolastici

Osservatori per la dispersione scolastica

Privato sociale

Enti di Formazione

Enti ecclesiali

Servizi del lavoro

Ambito territoriale:

Quartieri Zisa – Noce e Palermo

Destinatari:

Minori dei quartieri di riferimento e famiglie, operatori dei servizi del territorio

Obiettivi/finalità:

  • attivare iniziative finalizzate allo sviluppo socio – economico del territorio finalizzate al miglioramento della qualità della vita dei cittadini residenti nel territorio Zisa – Noce
  • promuovere e sostenere il passaggio da un'accezione tradizionale di assistenza quale luogo di bisogni che possono essere discrezionalmente soddisfatti, ad una accezione di protezione sociale attiva;
  • promuovere e sostenere iniziative tese a prevenire il disagio adolescenziale e giovanile;
  • promuovere e sostenere azioni volte a promuovere la cultura della legalità;
  • realizzare un sistema integrato di interventi e sistemi sociali e di un sistema di protezione attiva a sostegno delle persone e delle famiglie;
  • facilitare i rapporti tra le istituzioni scolastiche statali e paritarie, gli enti di formazione accreditati e l'insieme dei soggetti interessati ai risultati del sistema integrato di istruzione e formazione;
  • favorire accordi e progetti locali per l'arricchimento dell'offerta formativa, la lotta all'insuccesso, ed alla dispersine scolastica e formativa, lo sviluppo dell'interazione tra istruzione, formazione professionale e lavoro;
  • agevolare le scuole nell'esercizio delle loro responsabilità;
  • realizzare le condizioni affinché le istituzioni che hanno competenza territoriale in materia di infanzia, adolescenza e gioventù interagiscano e cooperino secondo i principi di completezza e sussidiarietà e sviluppino azioni in partenariato.

Impegni assunti dalla Giustizia Minorile:

  • Partecipazione all'attivazione dell'Accordo attraverso la Conferenza Permanente di Rete ed il Comitato di Pilotaggio per lo Sviluppo dell'Area Zisa – Noce
  • Mettere a disposizione risorse umane attraverso rappresentanza dell'U.S.S.M. all'interno dei Gruppi Tematici; attivazione e coordinamento del Gruppo Tematico “Promozione dei giovani e prevenzione del disagio”

Impegni assunti dagli altri partner:

Partecipazione all'attuazione dell'accordo;

Partecipazione ai gruppi tematici;

Partecipazione agli organismi previsti dall'accordo.

 

Infine la progettualità degli U.S.S.M. riguarda la realizzazione di ricerche finalizzate ad una maggiore diffusione delle conoscenze del fenomeno della “devianza” minorile, delle problematiche dei minori coinvolti, degli interventi di prevenzione attivati. Si inserisce a tal proposito la scheda del progetto “In transito” (relativo ad un'indagine di approfondimento sul tema dei minori non accompagnati) realizzata dall'U.S.S.M. di Palermo.

È inoltre in fase di realizzazione la ricerca “Analisi sull'applicazione dell'Art. 28 D.P.R. 448/88 e delle modalità di giustizia riparativa in Emilia romagna” condotta dall'U.S.S.M. di Bologna in collaborazione con IRSIG-CNR i cui risultati “consentiranno di ricalibrare e rafforzare le metodologie e le prassi operative del Servizio, nonché potenziare le capacità di integrazione con gli orientamenti del T.M. e con le politiche dei Servizi territoriali” [23] .

 

Scheda B

Titolo del progetto:

“In transito”

Fonti di finanziamento:

Fondi del C.G.M.

Enti coinvolti:

Centro per la Giustizia Minorile di Palermo

Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Palermo

Istituto Penale per i Minorenni

Associazione “Narramondi”

Oggetto/tematica affrontata:

Minori stranieri non accompagnati

Ambito territoriale di riferimento:

Distretto di Corte d'Appello di Palermo

Destinatari:

Minori stranieri non accompagnati

Obiettivi/finalità:

  • raggiungere una conoscenza più ampia del fenomeno migratorio inerente i minori stranieri non accompagnati;
  • conoscere e comprendere i progetti migratori dei minori stranieri non accompagnati;
  • conoscere le modalità di incontro, scambio, “scontro” tra i minori stranieri non accompagnati e la comunità locale;
  • comprendere i percorsi intrapresi e le modalità di ingresso e “sosta” nei circuiti dell'illegalità;
  • costruire le procedure formali e informali più adeguate epr rispondere agli adempimenti sanciti dalla normativa e alle richieste dei minori stranieri non accompagnati.

Azioni previste:

  • costruzione di strumenti di ricerca;
  • somministrazione di interviste ai minori;
  • interpretazione dei dati emersi dalle interviste;
  • relazione sulle interpretazioni conclusive.

Data inizio progetto:

maggio 2005

Durata del progetto:

un anno

Stato attuazione del progetto:

Fase iniziale: costruzione dell'intervista e contatti istituzionali per la somministrazione

Ruolo della Giustizia Minorile:

Promotore attuatore

Impegni assunti dalla Giustizia Minorile:

due unità operative (un assistente sociale ed uno psicologo) del gruppo immigrati;

budget di 625 euro a cura del Centro di Giustizia Minorile di Palermo

Altro:

referenti per l'U.S.S.M: Lo Cascio Raimondi

 

7.b. Modalità di “presa in carico” del minore da parte dell'U.S.S.M. – L'Assistente sociale e lo psicologo dell'U.S.S.M.

L'Assistente Sociale rappresenta una presenza costante dalla notizia di reato redatta da parte della polizia giudiziaria e per tutta la durata del procedimento penale. Anche quando il giudice dispone una misura cautelare affida l'imputato minorenne ai servizi in modo che predispongano dei piani di intervento che supportino e completino l'applicazione della misura cautelare stessa. I piani di solito prevedono attività di studio o di lavoro e possono essere messi in atto grazie al supporto dei servizi territoriali per la pianificazione dell'intervento sociale, nonché per la verifica in itinere e finale degli obiettivi e dei risultati raggiunti.

La presa in carico del caso prevede il seguente iter. La richiesta dell'Autorità Giudiziaria giunge alla segreteria dell'U.S.S.M. e il caso viene assegnato con un ordine di servizio del direttore all'assistente Sociale; l'assistente sociale incaricato raccoglie in un fascicolo tutta la documentazione sulla situazione personale e familiare del minore, copia dei provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria che lo riguardano ed un diario degli interventi nel quale sono annotate sinteticamente le prestazioni effettuate. Il diario deve contenere la descrizione sintetica dell'attività svolta giornalmente dall'assistente sociale per la gestione del caso ed è sottoposta al controllo periodico del direttore dell'ufficio. Il primo colloquio conoscitivo con il minore si ha in seguito alla sua convocazione in ufficio (insieme ai genitori), e a questo primo colloquio faranno seguito la visita domiciliare e gli altri interventi del caso.

La visita domiciliare rappresenta l'aspetto peculiare dell'intervento del Servizio Sociale. Con questo strumento l'assistente sociale ha la possibilità di colloquiare con il minore nel suo ambiente e di interagire con lui e con le altre figure di riferimento presenti. La visita domiciliare è un valido strumento di osservazione della realtà socio ambientale del minore e delle relazioni interpersonali che lo interessano. La conoscenza dell'ambiente del minore permetterà l'attivazione di risorse ad hoc nell'ambito dell'intervento di rete. Per la gestione del caso la Circolare n° 72676 del 1996 prevede inoltre il lavoro d'équipe e il lavoro con i gruppi di minori o di famiglie.

Nell'attività dell'Ufficio il lavoro d'équipe è significativo sia per gli aspetti di interprofessionalità che di eventuale interistituzionalità, essenziali per affrontare la complessità delle problematiche minorili. Tutte le fasi dell'intervento prevedono un'adeguata documentazione scritta finalizzata alla gestione dello stesso. Essa comprende la registrazione, che consiste nel riportare per iscritto in seguito a colloquio con l'utente i contenuti espressi come pure le informazioni in merito ad atteggiamenti e posture, le relazioni (informative, di aggiornamento, di sintesi, di invio), i verbali e le relazioni d'équipe.

Tale documentazione va inserita nel fascicolo personale del minore che deve contenere anche, in appositi sottofascicoli, la documentazione giudiziaria e quella prodotta dai servizi territoriali o del privato sociale. La segreteria minori curerà poi la compilazione della cartella (con i dati anagrafici, l'iter penale del minorenne le date di trasmissione o ricezione della documentazione) che sarà aggiornata dall'assistente sociale. Gli operatori dovranno inoltre produrre la documentazione finalizzata al funzionamento complessivo del servizio (dati statistici, mappa delle risorse, documenti programmatici, raccolta di leggi, regolamenti e circolari, verbali delle riunioni, accordi operativi e protocolli d'intesa). Obiettivo da raggiungere è quello di una documentazione come prodotto di servizio attraverso l'interazione tra documentazione dell'intervento sul caso e documentazione sul funzionamento complessivo del servizio [24] .

Per quanto riguarda l'attività all'interno dell'U.S.S.M. dello psicologo e del suo apporto professionale nella gestione dei casi, ci sembra particolarmente utile riportare in questa sede l'articolo del Dott. M. Fabi, psicologo dell'U.S.S.M. di Napoli [25] .

L'apporto professionale dello psicologo presso l'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Napoli”

Il lavoro psico-sociale con gli adolescenti autori di reato comporta, in primo luogo, la conoscenza del minore stesso. Proposte, progetti e misure penali rischiano, infatti, di fallire se non trovano il proprio fondamento nella partecipazione e, soprattutto, nella comprensione dell'adolescente.

In questa direzione opera il Servizio Psicologico dell'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Napoli: lo psicologo, all'interno di questa cornice istituzionale, si occupa di approfondire la conoscenza della personalità e delle dinamiche evolutive, nonché di valutare e di contestualizzare il reato del minore, al fine di contribuire a formulare risposte mirate alla sua condotta deviante. Quest'ultima infatti può esser considerata in molti casi l'espressione di una “crisi” profonda, nella quale vengono messi in discussione valori, motivazioni e credenze, crisi che però contiene un potenziale evolutivo, ovvero le premesse per un cambiamento potenziale.

Parte del lavoro psicologico consiste quindi in attività di osservazione e valutazione, il cui obiettivo principale non è la formulazione di una diagnosi in senso proprio – finalizzata alla ricerca di un'etichetta – né la valutazione della capacità di intendere e di volere dell'adolescente sottoposto al procedimento penale né, parimenti, l'ottenere una “confessione” di quanto accaduto.

Obiettivo principale della consultazione psicologica è, in primo luogo, la valutazione del senso soggettivo che ha per il minore il gesto contestatogli dal sistema giudiziario. Aree specifiche di osservazione, in tal senso, sono:

  1. la personalità del minore in relazione alla fase evolutiva;
  2. le relazioni, i ruoli, la struttura familiare ed il grado di congruenza tra ruoli, organizzazione del nucleo ed aspettative, con particolare riferimento alla coppia genitoriale;
  3. gli effetti ricercati attraverso l'azione deviante;
  4. la consapevolezza sulla reale gravità del reato;
  5. la reazione all'intervento della giustizia ed ai provvedimenti cui è sottoposto;
  6. la tipologia dell'agito, compresa la maggiore o minore sintonia dello stesso con l'esplicito sistema di valori familiari o del contesto sociale di appartenenza;
  7. l'inserimento sociale nel gruppo dei pari, nello studio o nel lavoro;
  8. il tipo di rapporto con la vittima.

La consultazione psicologica prevede l'ausilio di strumenti psicodiagnostici, quali test proiettivi (T.F.U. di Machover, Test dell'Albero, Test della Famiglia di Corman, Test del Paesaggio), test neuropsicologici (Visual-Motor Gestalt Test di Bender) e alcuni questionari (tra i quali il Test delle Relazioni Interpersonali di Bracken).

Questa valutazione porta alla stesura di una relazione indirizzata al giudice, che gli consenta di prendere decisioni che tengano conto per quanto possibile della situazione “oggettiva” e “soggettiva” del minore.

A tale intervento di consultazione psicologica può seguire una fase successiva che è rivolta a sostenere il minore, sia attraverso colloqui di sostegno sia attraverso una psicoterapia breve, all'interno di progetti educativi personalizzati. Tali progetti consistono in compiti concordati e pianificati - di volta in volta - sia con il minore interessato, sia mediante una prassi fondata sul confronto in équipe tra professionalità diverse.

È utile ricordare che l'intervento psicologico con adolescenti sottoposti a procedimenti penali si svolge, fin dall'inizio, in un contesto di prescrizione e non di richiesta. Il committente (l'Autorità Giudiziaria) non corrisponde all'utente (il minore): l'adolescente non chiede aiuto, non necessariamente si presenta come sofferente e, spesso, non è latore di psicopatologie vere e proprie.

Inoltre, il luogo nel quale si svolgono i colloqui è “inglobato nell'edificio giudiziario” e, pertanto, l'adolescente incontra difficoltà nel distinguere funzioni e ruoli. In molti casi, anche il semplice recarsi per un colloquio presso il medesimo fabbricato nel quale sono allocate le aule di giustizia provoca malessere o diffidenza negli utenti.

Il ragazzo che ha commesso un reato è poi caratterizzato spesso da una personalità portata ad agire e non ha ancora sviluppato pienamente le proprie capacità introspettive; nei casi più complicati si riscontrano tendenza a mentire, elevate difese narcisistiche, difficoltà ad ammettere o a rappresentare a se stessi il disvalore del gesto compiuto: tutti elementi, questi, che accentuano le difficoltà nella creazione di una relazione tra psicologo e minore.

I colloqui con ragazzi sottoposti a procedimenti penali richiedono, dunque, un adattamento della posizione abituale dello psicologo, con l'assunzione di un atteggiamento più attivo di quello normalmente adottato di fronte ad un utente che riconosce il proprio bisogno d'aiuto ed ha sufficienti capacità introspettive e di autocritica.

La finalità generale della consultazione, dunque, consiste in una estensione dello spazio di significato dell'azione-reato, ma soprattutto nella sua “costruzione” e condivisione con l'adolescente e la famiglia. In questo modo si cerca di evitare che una risposta incongrua e inadeguata banalizzi l'atto trasgressivo, riducendolo ad un gesto infantile, senza significato sociale o, al contrario, lo confonda con il significato giuridico che, quello stesso atto, può avere per un adulto.

Dal punto di vista organizzativo, infine, il Servizio Psicologico ha iniziato quest'anno un'attività di monitoraggio e di verifica delle attività svolte – per ora a cadenza semestrale - al fine di migliorare la qualità delle prestazioni erogate. L'attenzione alla qualità rientra in una filosofia di servizio attenta non solo al reato ed alla prevenzione della recidiva, ma anche al benessere dell'utente inteso nella sua globalità.

La globalità dell'approccio presuppone sia la collaborazione interprofessionale tra assistenti sociali, educatori e psicologi, sia la collaborazione interistituzionale con i Servizi del Territorio. Tale considerazione implica una complessità organizzativa del lavoro che trascende il rapporto con l'utenza, denotando numerose implicazioni sul piano conoscitivo, metodologico e relazionale.

I temi appena citati non possono certamente essere approfonditi in questa breve dissertazione; aiutano tuttavia a comprendere che, il contributo del Servizio Psicologico all'interno del Servizio Sociale per i Minorenni di Napoli, costituisce un aspetto del più ampio processo di conoscenza e “trattamento” dei ragazzi che commettono reati. In altri contesti, questo stesso contributo assume connotazioni diverse, proponendosi in maniera dialogica per un continuo e reciproco aggiornamento culturale e organizzativo, al passo con i mutevoli bisogni della giovane utenza presa in carico.

7.c . L'esperienza dell'U.S.S.M. di Napoli

Nel suo articolo sull'U.S.S.M. di Napoli, l'assistente sociale Concetta Grifò prende in considerazione l'applicazione dell'istituto della “messa alla prova” ed i suoi sviluppi nei casi in cui l'applicazione della misura, anche se iniziata entro il ventunesimo anno di età, si concluda oltre tale limite [26] . Nell'ottica della continuità degli interventi e della conseguente necessità di garantire ai giovani adulti una prosecuzione dell'intervento sociale iniziato in ambito minorile in modo tale da non pregiudicare in buon esito del percorso avviato e, al tempo stesso, evitare la duplicazione di interventi, è scaturito un accordo di programma tra il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria Campania (P.R.A.P.) e il Centro per la Giustizia Minorile per la Campania e il Molise.

L'accordo prevede l'inserimento di detenuti giovani adulti provenienti dal circuito penitenziario minorile presso istituti per adulti appositamente strutturati ed organizzati. Nell'ambito di tale accordo sono stati stabiliti i vari percorsi operativi che prevedono il coinvolgimento dell'U.S.S.M. nel fornire le necessarie informazioni relative ai casi già conosciuti e nella predisposizione congiunta, con il C.S.S.A, del programma di intervento. Inoltre, per favorire una maggiore attenzione trattamentale nei confronti dei giovani adulti ed evitare loro un impatto traumatico con le strutture penitenziarie laddove la condanna penale debba espiarsi necessariamente in forma restrittiva, il P.R.A.P. ha individuato due istituti penali – uno in provincia di Avellino e l'altro in provincia di Benevento, dove possono essere accolti i soggetti in questione. I due istituti sono caratterizzati per le piccole dimensioni e per la possibilità di avviare più facilmente esperienze sperimentali.

L'accordo definisce le modalità di raccordo tra l'U.S.S.M. ed il C.S.S.A. e prevede la possibilità di partecipare congiuntamente a percorsi formativi e di aggiornamento. Attribuisce, inoltre, ai referenti di C.G.M. e P.R.A.P., il compito di monitorare l'andamento della progettualità in questione e programmare, altresì, interventi che riguardino “l'intero circuito penitenziario”. L'importanza dell'accordo tra i due settori degli “adulti” e dei “minori” consiste nell'aver prestato attenzione ad una fascia di utenza “sensibile” per età; si basa sul principio della prevenzione di ulteriori reati e sulla valorizzazione e supporto degli interventi già avviati dai Servizi minorili.

7.d. Obiettivi raggiunti, difficoltà incontrate, bisogni percepiti

 

Tra i risultati più significativi ottenuti grazie all'intervento degli Uffici di Servizio Sociale per Minorenni si fa riferimento prevalentemente a:

  1. l'inclusione socio-lavorativa sia di minori entrati nel circuito penale che di minori a rischio;
  2. la costruzione ed il consolidamento, nel corso degli anni di attività, di rapporti di collaborazione in particolar modo con il privato sociale;
  3. la possibilità di offrire occasioni formative e socializzanti anche a ragazzi che per problemi di varia natura non avrebbero altrimenti nessuna possibilità formativa, lavorativa e/o educativa;
  4. la creazione in alcuni casi di uno sbocco occupazionale stabile o dell'opportunità per il minore di proseguire gli studi;
  5. la possibilità di accedere alla misura di cui all'articolo 28 del D.P.R. 448/88;
  6. il consolidamento e la condivisione interistituzionale di prassi di intervento e la garanzia di prosecuzione per alcuni progetti;
  7. la possibilità per alcuni minori stranieri inseriti in un programma di trattamento di avviare un percorso di regolarizzazione.

In merito alle difficoltà incontrate, invece, è stata segnalata una “resistenza iniziale” rispetto al cambiamento organizzativo e operativo che è stato provocato dalla modalità di lavoro “per progetti”. Tale resistenza sarebbe stata comunque ampiamente superata, tanto che in più punti si fa riferimento ad una specifica “area progettazione” e alla designazione di referenti interni all'U.S.S.M. per i singoli progetti; sia per quelli direttamente gestiti dal Servizio sia per quelli che, promossi da altri soggetti, prevedono il coinvolgimento dell'U.S.S.M. In alcuni casi però, si fa riferimento ad uno scarso recepimento da parte degli enti competenti, quali ad esempio l'Assessorato del Lavoro, delle sperimentazioni attivate all'interno dei progetti.

La mancanza di una rete sociale di riferimento da parte del minore come pure la mancanza di documenti attestanti la sua identità (nei casi di minori stranieri) rende difficile la progettazione e l'applicazione di un adeguato piano trattamentale. Si renderebbe necessaria, quindi, una formazione ad hoc del personale che tenga conto delle trasformazioni dell'utenza e delle nuove problematicità ad essa connesse; un valido supporto in questi casi potrebbe essere la presenza sia di operatori in possesso di una conoscenza più approfondita della lingua e delle caratteristiche culturali e socio-economiche dei Paesi di provenienza dell'utenza, sia di risorse territoriali in grado di sopperire alla mancanza di una rete sociale di riferimento.

La diminuzione delle risorse causata dai tagli ai bilanci, il dilazionarsi dei tempi relativi all'avvio dei progetti, l'incertezza in merito al rispetto dei tempi e delle modalità attuative stabilite, l'eccessiva “occasionalità” di alcuni interventi, l'alternarsi di periodi di grande attività progettuale a periodi di “buco”, rendono spesso difficile il reperimento delle risorse ed una risposta adeguata alle necessità dell'utenza.

Alla luce di queste considerazioni, i bisogni percepiti fanno riferimento a:

  1. una maggiore disponibilità di mezzi atti a promuovere e sostenere gli interventi educativi previsti;
  2. un maggior feed-back tra l'U.S.S.M. e l'amministrazione centrale per il riconoscimento del ruolo che il servizio ricopre;
  3. una minore “ingerenza” degli aspetti economici in occasione dei Tavoli di governance locale ed una maggiore attenzione alle proposte di quegli enti, tra cui i Servizi della Giustizia minorile, il cui apporto non è finanziario ma solo di natura tecnica;
  4. un maggiore riconoscimento delle problematiche legate alla realtà adolescenziale tra cui il condizionamento non sempre positivo provocato dai mass media e dalla società in cui vivono;
  5. la garanzia di una maggiore continuità degli interventi;
  6. l'opportunità di diffusione e condivisione (anche attraverso pubblicazioni) delle esperienze realizzate;
  7. la necessità di individuare nuovi ed adeguati strumenti di intervento per la gestione di problematiche emergenti quali l'aumento di soggetti che fanno uso di sostanze stupefacenti e di soggetti affetti da disturbi psicopatologici.

7 .e. Peculiarità socio.ambientali che possono incidere sull'attività dell'U.S.S.M.

In riferimento alle peculiarità socio-ambientali che possono condizionare il lavoro di ogni U.S.S.M. e alla percezione delle proprie potenzialità e punti di forza, ci sembra di estrema ricchezza riportare, qui di seguito, quanto rilevato a questo proposito dagli stessi Servizi contattati:

Da qualche anno il problema emergente per l'U.S.S.M. di Perugia è quello dell'alta presenza, anche nel contesto penale minorile, di stranieri (regolari e non). Nella generale confusione dovuta alla contraddittorietà della normativa vigente e alle resistenze delle istituzioni (compresi i tribunali minorenni) a farsi realmente carico dei bisogni espressi da tale fascia di popolazione, non esiste una reale progettualità volta migliorare le condizioni di vita sia dei giovani stranieri che della comunità che li accoglie.

 

Questa situazione, oltre a rimandare a problematiche di vasta portata inerenti all'accoglienza degli stranieri e alla loro inclusione nel contesto sociale, è da mettersi in relazione anche all'assenza di nuova progettualità rivolta all'infanzia e, soprattutto, all'adolescenza. Gli adolescenti sono una fascia di popolazione “dimenticata” rispetto alla quale i soggetti pubblici non mobilitano risorse per comprenderne lo sviluppo, le prospettive, i bisogni.

 

Il servizio può contare sul buon livello di formazione e professionalità espressa dagli operatori, sul buon rapporto che riesce a stabilire con gli adolescenti e le loro famiglie, da un lato, e con la rete territoriale dei servizi, dall'altro. La capacità progettuale che, nonostante tutto, continua ad esprimere è messa a grave rischio dalla situazione di stallo in cui versa la giustizia minorile.

 

Se un punto di forza è la capacità di “tenuta”, in termini di motivazione degli operatori, l'altro è costituito dagli adolescenti e dalle loro famiglie che portano sì difficoltà, problemi spesso gravi e complessi all'interno del servizio, ma anche una stimolante vitalità che a volte è la principale risorsa a dar luogo a cambiamenti in positivo livello del percorso personale e familiare, nonché ad attivare la progettualità e la capacità di elaborare pensiero nell'ambito del nostro gruppo di lavoro .

(U.S.S.M. di Perugia)

Peculiarità della “situazione” Catania continua ad essere per gli utenti dell'U.S.S.M. la compresenza di fattori quali: l'abbandono scolastico precoce, l'inadeguata realtà scolastica che tende ad emarginare i soggetti più deboli e la critica realtà lavorativa che perpetua meccanismi legati allo sfruttamento del lavoro minorile spingendo il ragazzo a ricercare più facili fonti di guadagno.

 

Tale situazione contribuisce a rinforzare nella città la presenza di una “cultura della devianza” che, unita ad una pressante ed estesa azione della criminalità organizzata, favorisce il dilagare di nuovi e sempre più attivi modelli che si inseriscono a pieno all'interno del disagio giovanile. Per questi motivi la complessità della “situazione” catanese spinge gli operatori dell'USSM a ricercare ed affinare metodologie di intervento sia sul piano qualitativo che quantitativo.

 

Al fine di rispondere ai bisogni dei minori l'U.S.S.M. di Catania negli anni ha strutturato una serie di risposte concrete che hanno consentito di offrire ai giovani delle opportunità di inserimento in contesti sociali e di lavoro. E' stata favorita, pertanto, l'acquisizione di una cultura della formazione – lavoro ed anche dell'aggregazione sociale attraverso forme di accompagnamento educativo e di sostegno psicologico e di attivazione di risorse di volontariato tese a favorire interventi riparativi in campo penale. L'USSM, pertanto, nell'integrare le diverse professionalità (Assistenti Sociali, Educatori, Psicologi) ha affinato sempre più metodologie di intervento volte a favorire il benessere psico – sociale del minore.

(U.S.S.M. di Catania)

La situazione di Bologna è caratterizzata da una forte presenza di minori stranieri, in progressivo aumento negli ultimi anni anche nel contesto penale (90% dell'utenza del carcere, 50% dell'utenza dell'USSM). Tale progressiva configurazione dell'utenza costringe il Servizio ad una costante verifica della propria operatività, al reperimento di strumenti nuovi e all'individuazione di percorsi mirati per i ragazzi stranieri che, a differenza degli italiani, ha maggiori esigenze di tutela (sono privi di rete parentale) e di sostegni concreti (alloggio, lavoro ecc.).

L'USSM di Bologna ha quale punto di forza la sua “trasversalità” rispetto a tutti gli altri Servizi Minorili, in quanto segue il minore in tutto il percorso penale, sia nel passaggio per le strutture (Centro Prima Accoglienza, Carcere, Comunità) che nel percorso in libertà e nella fase di reinserimento sul territorio. Questo ne fa un punto di riferimento fondamentale per il ragazzo durante la sua esperienza nel contesto penale. Un altro punto di forza è la stretta collaborazione con i servizi territoriali, che consente quasi sempre che l'intervento non si esaurisca alla conclusione del percorso penale, ma prosegua in relazione ai bisogni del minore. In questo senso l'USSM ha anche un fondamentale ruolo di stimolo rispetto agli Enti Locali e alle risorse del territorio.

(U.S.S.M. di Bologna)

Buona la collaborazione con i servizi del territorio. Per quanto riguarda la progettazione di attività di pubblica utilità l'U.S.S.M. di Firenze collabora con il “Punto Giovani” dove opera part time una nostra assistente sociale.

A livello generale si rileva una difficoltà di coordinamento di ipotesi progettuali e l'organizzazione è a volte frammentata.

Punto di forza è il numero di personale sufficientemente motivato e preparato professionalmente; buona la collaborazione con i servizi del territorio.

(U.S.S.M. di Firenze)

Elemento che contraddistingue l'U.S.S.M. di Cagliari è che l'utenza penale esterna di cui si fa carico è costituita da soggetti residenti nel territorio di competenza; la Sardegna non è infatti interessata da fenomeni migratori che determinano, specie nell'Italia settentrionale e centrale, la presa in carico di minori stranieri, molto spesso privi di accompagnamento familiare.

Punto di forza del servizio sono gli operatori motivati ed il soddisfacente flusso comunicativo con il tribunale dei minorenni e con i servizi con i quali si interagisce”

(U.S.S.M. di Cagliari)

Una delle peculiarità dell'U.S.S.M. di Palermo riguarda il suo ruolo e la sua collocazione all'interno dei contesti territoriali di competenza. Contesti dove alto risulta il numero di minori devianti e a rischio a fronte di condizioni socio-ambientali caratterizzate da multiproblematicità e da frammentarietà delle risposte istituzionali. Pertanto l'U.S.S.M. si fa promotore e attivatore di reti territoriali volte a favorire una maggiore qualità degli interventi, stimolando politiche sociali di prevenzione e promozione dei territori. Il ruolo che svolge il servizio è di grande visibilità ed esso viene riconosciuto come interlocutore competente e determinante.

Uno dei punti di forza del servizio è costituito dalla scelta di un percorso finalizzato a fornire un assetto organizzativo il più efficiente, efficace e partecipato possibile. In quest'ottica si è proceduto all'elaborazione della Carta del Servizio che ha costituito un momento di forte confronto e crescita circa la “mission” e la “vision” dell'ufficio. Infatti si sta procedendo ad individuare modalità che consentano sia il mantenimento di “specializzazioni all'interno dell'ufficio” (gruppo Abuso – gruppo Stranieri) sia di rendere patrimonio comune le acquisizioni che man mano si vanno raggiungendo, nonché gli esiti finali.

Tale organizzazione permette all'Ufficio di essere presente, attraverso la competenza e la professionalità dei propri operatori, in ogni settore delle politiche sociali perseguite sul territorio di competenza.

(U.S.S.M. di Palermo)

 

[1] Cfr.Eva Baldassarri “Il servizio Sociale nel sistema giustizia”, in Rassegna di Servizio Sociale , Roma, 1999, n°.1, p. 58.

[2] Cfr. Eva Baldassarri, op.cit. , pp. 57-63.

[3] Cfr. Isabella Mastropasqua, I minori e la giustizia. Operatori e servizi dell'area penale , Liquori, Napoli, 1997, pagg. 26-29, 104.

[4] Cfr. Isabella Mastropasqua, “Il ruolo del Servizio Sociale per i Minorenni” in Esperienze Sociali , Palermo, 1998, n°.1, pp. 72-83.

[5] Vedi art. 2 del R.D.L. 1404/34.

[6] Cfr. Francesco Micela, “Il diritto minorile. Il perché di una specializzazione” in Esperienze Sociali , Palermo, 1998, n° 1, pp. 55-71.

[7] Cfr. Isabella Mastropasqua, I minori e la giustizia. Operatori e servizi dell'area penale , Napoli, 1997, p. 25.

[8] Cfr. Vincenzo Dell'Erba, Metodi e tecniche del Servizio Sociale III, Relazione di orientamento del tirocinio professionale, Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale, Catania, Anno accademico 2001-2002, pp. 13-18.

Consultabile dal sito http://web.tiscali.it/noredirecttiscali/enzodellerba/ideefile/orientamentoUSSM.PDF

[9] Vedi art. 28 e 29 del D.P.R. 488/88

[10] Cfr. Francesco Micela, op. cit , pp. 55-71

[11] Cfr. art. 28-29 del D.P.R. 488/88.

[12] Cfr. Eva Baldassarri, op. cit ., p. 60.

[13] Cit. in Isabella Mastropasqua, I minori e la giustizia. Operatori e servizi dell'area penale , Napoli, 1997, p. 45.

[14] Isabella Mastropasqua, op.cit. , p. 47.

[15] Vincenzo Dell'Erba, op.cit.

[16] Fonte: Ministero della Giustizia.

[17] Così vengono denominati i Rom e i Sinti nelle statistiche ufficiali.

[18] Tabelle e grafici dell'utenza degli Uffici di servizio sociale per i minorenni (U.S.S.M.), fonte: Ministero della Giustizia; Ministero della Giustizia, Uf ficio Centrale per la Giustizia Minorile , “ Analisi statistica dei flussi di utenza dei servizi minorili: 1998-1999-2000 ”.

Ministero della Giustizia, Dipartimento Giustizia Minorile, “La sospensione del processo e messa alla prova. Analisi statistica. Anni 1999- 2001” .

[19] In questa sezione si analizzano gli interventi attuati dagli U.S.S.M. nei confronti dei soggetti presi in carico, in esecuzione dei provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria. La rilevazione statistica considera tutti gli interventi effettuati dagli Uffici di servizio sociale, anche quelli in favore di soggetti presi in carico negli anni precedenti e per i quali i progetti di intervento sono proseguiti nell'anno 2004.

[20] Per avere un quadro più dettagliato sulle attività degli U.S.S.M., sulla realtà dei minori coinvolti nel circuito penale e sui progetti attivi nei loro confronti, si è richiesta la collaborazione di alcuni di essi che hanno inviato una breve relazione informativa sulla base di una traccia che permettesse in seguito un lavoro di rilevazione di temi comuni e di confronto dei dati raccolti. Il paragrafo analizza, dunque, le esperienze degli U.S.S.M. di Firenze, Perugia, Cagliari, Bologna, Palermo e Catania, i quali hanno fornito direttamente all'équipe tali relazioni. Si fa inoltre riferimento agli U.S.S.M. di Napoli, Milano, Roma ecc., per i quali si è utilizzato materiali che gli stessi uffici avevano pubblicato di recente su siti internet e/o reperibili all'interno di bibliografia corrente in materia.

[21] Fonte: Ministero della Giustizia.

[22] Favaro Graziella, “Minori immigrati: nascere e crescere altrove ” in IPAB OGGI , n°4, Rimini, 1999, pagg. 42-43.

[23] Dalla relazione informativa inviataci dall'U.S.S.M. di Bologna.

[24] Cfr. Isabella Mastropasqua, “Il ruolo dell'Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni” in Esperienze Sociali , Palermo, 1998, n° 1, pp. 73-83. Vedi anche Circolare n° 72676 del 16 maggio 1996 “Organizzazione e gestione tecnica degli Uffici di Servizio Sociale per Minorenni”.

[25] Massimiliano Fabi, “L'apporto professionale dello psicologo presso l'Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni di Napoli”, consultabile nel sito dell'U.S.S.M. di Napoli: http://digilander.libero.it/serviziominorinapoli/art_fabi.htm

[26] Cfr. Concetta Grifò, “La continuità di intervento tra minori e adulti”, consultabile nel sito dell'U.S.S.M. di Napoli: http://digilander.libero.it/serviziominorinapoli

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