C.A.T. COOPERATIVA SOCIALE

PROGETTO ALADINO

Interventi di prevenzione sul consumo di sostanze psicoattive e di promozione della salute nei servizi giudiziari minorili

della Regione Toscana

 

SINTESI DELLA RELAZIONE CONCLUSIVA SU MAPPATURA, OSSERVAZIONE TERRITORIALE, INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI

Di Gilberto Scali, Rachid Baidada, Mariapia Bianchi

 

Il PROGETTO ALADINO

La tutela della salute dei minori detenuti, una ricognizione dei luoghi cittadini a rischio, specie per i minori stranieri, e dei servizi che si occupano di questi minori, sono stati i punti cardine dello svolgimento del progetto Aladino a cui hanno partecipato il SerT penitenziario della ASL 10 di Firenze, il Centro per la giustizia minorile della Regione toscana, la Cooperativa sociale CAT, il CeSDA (Centro Studi Dipendenze e Aids dell'Università di Firenze).

Le finalità del Progetto, svoltosi nel corso del 2003, sono state nel dettaglio quella di modificare comportamenti a rischio legati all'uso e all'abuso di sostanze stupefacenti, quella di offrire una maggiore informazione e sensibilizzazione sulle opportunità terapeutiche e riabilitative rese disponibili dai servizi pubblici, dagli Enti Ausiliari e dall'Associazionismo, oltre che una più approfondita conoscenza delle condizioni di vita dei minori stranieri accompagnati e dei servizi a questi rivolti.

Un'altra finalità compresa dal progetto è stata quella di applicare quanto previsto in merito alle linee guida europee sugli interventi per le tossicodipendenze nelle carceri (Oldenburg 1998 – Prison and Drugs: European Recommendations), sottolineando l'efficacia dei programmi di “peer support” (assistenza tra pari) in una strategia mirata a ridurre i comportamenti a rischio.

Più specificatamente gli obiettivi del progetto sono stati:

 

•  migliorare l'informazione sui rischi specifici connessi ai comportamenti di politossicodipendenza all'interno della popolazione detenuta minorile italiana e straniera;

•  migliorare l'informazione sui rischi connessi alle patologie infettive correlate e MTS nella popolazione detenuta minorile italiana e straniera;

•  realizzare attività di formazione rivolte alla promozione di comportamenti corretti e a forme di autotutela nella popolazione detenuta minorile italiana e straniera.

 

E, per ciò che ha riguardato l'intervento dell'Unità di Strada della Cooperativa Sociale CAT:

 

•  migliorare la conoscenza delle condizioni dei minori stranieri, accompagnati e non;

•  migliorare la conoscenza dei servizi esistenti che si occupano di minori, stranieri in particolare, con riferimento specifico ai problemi correlati all'uso di sostanze stupefacenti;

•  migliorare la rete di connessione esistente tra i servizi che si occupano di minori, stranieri in particolare.

 

Le azioni condotte dall'Unità di Strada, che si è occupata di svolgere attività di monitoraggio e osservazione rispetto a certe zone cittadine in cui è maggiormente problematica la presenza di minori stranieri, e che si anche occupata di intervistare testimoni privilegiati rispetto al lavoro con questo tipo di minori, sono state:

Realizzazione di una ricerca intervento coordinata dal CeSDA sulla condizione della popolazione minorile soprattutto straniera e sulle possibilità di accesso alla rete dei servizi. In particolare provvedendo a realizzare una mappatura del territorio orientata alla:

 

•  stima delle presenze sul territorio fiorentino;

•  individuazione delle zone del suddetto territorio in cui si registra una maggiore presenza;

•  conoscenza dei servizi che si occupano di minori stranieri e in particolare:

-Tipologia dei servizi;

-Numero di utenti;

-Tipologia delle richieste;

-Tipologia delle offerte;

-Analisi delle problematiche dei minori stranieri;

 

Tale ricerca è stata realizzata da operatori di strada in collaborazione con mediatori linguistico-culturali che hanno proceduto a una mappatura sul campo tesa a rilevare le zone di maggiore presenza di minori a rischio e a individuare le condizioni determinanti di tale rischio (minori stranieri che vivono in strada, accompagnati e non). Parallelamente i ricercatori hanno svolto un'indagine mediante questionari semistrutturati e interviste a operatori e testimoni privilegiati appartenenti al circuito dei servizi pubblici e del privato sociale impegnati in attività di assistenza, accoglienza per i minori stranieri.

 

Le zone cittadine prese in considerazione sono state, in particolare, quelle di:

•  Stazione di S. M. N e zone limitrofe (Piazza S. M. Novella, Borgo S. Lorenzo, Fortezza da Basso)

•  S. Spirito, Piazza Tasso

•  Peretola, Le Piagge, Giardini del Lippi (tutte all'interno del Quartiere 5)

•  S. M. a Cintoia, Campo Rom del Poderaccio e del Masini (tutte all'interno del Quartiere 4)

•  Piscina Costoli (durante l'estate, ovviamente), Campo Di Marte

•  Cascine

 

Gli operatori e i testimoni intervistati, sono stati: Coordinatori di Centri di Alfabetizzazione rivolti a minori, Responsabili di Centri giovani e Ludoteche, Coordinatori di Unità di Strada, Assistenti Sociali, Referenti di Associazioni culturali e di volontariato, Responsabili di pubblici uffici e di percorsi formativi integrati.

 

Tutte queste interviste, oltre ad essere state inserite in un Database del CeSDA (Centro Studi Dipendenze e Aids), sono state oggetto di studio da parte di una sociologa del medesimo centro e analizzate con un programma informatico detto N – Vivo, predisposto a fornire analisi di tipo “qualitativo”.

 

L'ambito della ricerca è stato il territorio fiorentino e i comuni limitrofi ed è stata condotta, come si diceva, da un'Unità di Strada composta di 2 operatori/mediatori culturali e un coordinatore/operatore.

 

LA PRESENZA DEI MINORI STRANIERI A RISCHIO NEL TERRITORIO FIORENTINO

Dopo un lavoro di mappatura e rilevazione di zone e servizi frequentati, da minori extracomunitari nel periodo Gennaio – Maggio 2003, l'intervento di osservazione dei contesti territoriali individuati, è iniziato ai primi di Giugno del 2003 e si è concluso a Dicembre dello stesso anno.

La prima parte dell'intervento è stata effettuata sia raccogliendo informazioni presenti in rete (internet), sia effettuando una ricerca sul territorio, sia utilizzando la rete di servizi interna alla Cooperativa Cat (Educatori di strada Quartiere 5, Educatori di strada del Campo Rom del Poderaccio, CIP – interventi territoriali di prevenzione sulla prostituzione, Progetto Libenter – orientamento formativo minori stranieri, Progetto Ašun – progetto di prevenzione sulle sostanze rivolto a minori Rom, InfoImmigrati Quartiere 5, Centro giovani La Sala Gialla ).

 

La città di Firenze ha visto, negli ultimi dieci anni, mutare profondamente il fenomeno dell'immigrazione. Le ultime ricerche evidenziano un continuo aumento della presenza di persone immigrate (l'8% in più tra il 2001 e il 2002), e rilevano soprattutto un'altissima presenza di giovani e minori stranieri, sia come immigrati di seconda generazione, sia come giovani irregolari e minori non accompagnati. Mentre i primi rappresentano una promessa di integrazione (livelli alti di scolarizzazione e occupazione), i secondi costituiscono al contrario forse l'elemento più problematico del fenomeno migratorio: nessuna tutela, alta marginalizzazione ed alto rischio di inserimento nei circuiti della microcriminalità e sfruttamento. Inseguono un sogno in fuga e raramente lo raggiungono.

Sono 7.921 i minori stranieri non accompagnati giunti in Italia al 31 gennaio 2002 secondo i dati del Comitato per i minori stranieri. I ragazzi in maggioranza maschi (86,2%) di età compresa fra i 15 e i 18 anni, arrivano dall'Albania (50,7%) Marocco (17,4%) Romania (10%) ex-Jugoslavia (5%). C'é da evidenziare un progressivo aumento degli arrivi di minori provenienti dalla Romania, dalla Polonia e da altri paesi dell'Europa dell'Est che sono esenti dall' obbligo di visto di entrata rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche italiane. Tale esenzione vale solo per il transito e per soggiorni di breve durata (fino a 90 gg.) per motivi, in Italia, di "turismo", "affari" o "missione". Una quota di questi minori risultano “non accompagnati” mentre altri sono al seguito delle famiglie.

Il fenomeno, in crescita, è alimentato dalla necessità di trovare un lavoro e un futuro migliore, spesso con la complicità delle famiglie, disposte ad indebitarsi per pagare il viaggio, il cui costo si aggira tra gli 800 e i 1500 euro. Per questo “investimento”, viene stipulato un vero e proprio contratto con i “trafficanti di minori” che prevede il versamento di un anticipo alla partenza e il saldo dell'intero costo del viaggio una volta che il ragazzo arriva a destinazione. Giunti in Italia i minori non accompagnati spesso hanno in tasca gli indirizzi degli enti che offrono ospitalità, a dimostrazione dell'esistenza dello sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali. I più fortunati raggiungono parenti di secondo e terzo grado che vivono nel paese di arrivo, per gli altri il destino è quasi segnato: sfruttamento, delinquenza, clandestinità (Fonte:Redattore Sociale Giugno 2003).

La maggiore elasticità della legge verso i clandestini minorenni, che difficilmente prevede il carcere e il rimpatrio anche in caso di condanna penale, tende ad incentivare la loro migrazione, e le nostre città si trovano a dover affrontare un fenomeno in continua crescita e di difficile gestione sia per quanto riguarda l'emersione del fenomeno che l'attivazione di interventi di presa in carico e le successive procedure per l'attribuzione del permesso di soggiorno per minore età e soprattutto la sua conversione al compimento del 18°anno di età. La legge “Bossi Fini” prevede l'assegnazione del Permesso di soggiorno ai giovani dopo il compimento della maggiore età solo se questi vivono in Italia da almeno tre anni e, se da due, “seguono un progetto di integrazione sociale e civile” di un ente pubblico o privato. Quest'ultimo dovrà garantire che il giovane frequenti corsi di studio o possieda un contratto di lavoro e una residenza propria. Gli effetti della nuova legge però rischiano di provocare un abbassamento dell'età media dei clandestini minorenni. Per soddisfare le richieste del decreto è infatti necessario giungere in Italia a un età non superiore ai 15 anni mentre l'età media dei ragazzi che arrivano ora è di circa 16 anni.

 

Nel periodo compreso tra 1° Gennaio e Agosto del 2003 l'80% circa dei minori non accompagnati di cui si è occupato L'Ufficio Direzione e Sicurezza Sociale sono stati ragazzi albanesi, il restante era composto da minori marocchini e da minori rom rumeni, quest'ultimi giunti nel territorio fiorentino nel periodo compreso tra Febbraio e Agosto.

I minori albanesi che provenivano dalle città avevano un buon livello d'istruzione, quelli che provenivano dalle zone montuose, dalla campagna albanese avevano un livello di scolarizzazione molto basso. Entrambi erano arriveti in Italia con il miraggio del lavoro. Il disagio in loro riscontrabile era da riferirsi alla solitudine, alla nostalgia di casa, alla frustrazione data dal non riuscire ad essere adolescenti “normali”.

I minori marocchini erano essenzialmente inseriti in dinamiche di illegalità e per questo è stato anche molto difficoltoso per i servizi, in genere, “agganciarli”. In aumento, in questi ragazzi, è sicuramente un disagio di tipo psichico.

Il fenomeno dei minori rom rumeni giunti in buon munero a Firenze tra Febbraio e Agosto 2003 era del tutto legato invece a situazioni di sfruttamento tese a coinvolgere tali minori in attività criminose come furti e scippi. I Servizi hanno conosciuto questi minori soltanto tramite segnalazioni di vario genere o invii dall'area penale.

 

La situazione più problematica nel contesto urbano fiorentino è sicuramente quella del centro storico, soprattutto nelle strade intorno alla stazione, nelle quali l'immigrazione clandestina incontra varie tipologie di disagio e di devianza (spaccio e consumo di sostanze illegali, piccola criminalità, barbonismo…), innescando spesso circuiti viziosi che aumentano i rischi di marginalizzazione e facilitano l'inserimento nei circuiti illegali. I gruppi di minori stranieri, in questa zona (soprattutto rom, rumeni, albanesi e magrebini), formano spesso bande, coinvolgendo anche gruppi di minori italiani ed amplificando così il rischio sociale. Si registrano però situazioni critiche anche in altre zone della città, come i Quartieri periferici nei quali sono presenti due campi Rom (con fenomeni anche gravi di spaccio e consumo di sostanze).

La necessità di pensare interventi specifici rivolti all'area delle marginalità estreme è sempre più evidente all'interno dei contesti urbani particolarmente in questa fase storica. Infatti da un lato si evidenzia sempre più la dimensione della “città” disabitata nei centri storici che divengono “vetrine” per il turismo e sempre meno luogo di vita di socializzazione e di integrazione tra cittadini, dall'altro luogo di riferimento per gruppi marginali e in grave difficoltà che utilizzano questi spazi per costruirsi aree di sopravvivenza spesso mobili e precarie invischiate per lo più in attività illegali.

Tale situazione rappresenta la base per i sempre più frequenti moniti e campagne allarmistiche che con il pretesto della sicurezza professano l'allontanamento dei cittadini scomodi e propongono soluzioni centrate essenzialmente sull'aumento delle azioni repressive e di presidio del territorio da parte delle forze di polizia.

La situazione appare ben più complessa e richiede interventi che si prendano cura delle situazioni specifiche proponendo una politica di accoglienza e di servizi per i gruppi marginali. Tali gruppi attualmente, come si diceva, sono diversi per origine e caratteristiche culturali, per bisogni specifici e per problemi che creano nel contesto urbano.

 

LE INTERVISTE AI TESTIMONI PRIVILEGIATI

Le interviste ai testimoni privilegiati sono state condotte utilizzando una griglia pre-definita di domande.

Per la formulazione della griglia è stato necessario un lavoro di scambio tra i vari enti partecipanti al progetto, ma determinante è stato sicuramente lo specifico apporto della Dottoressa D'Angelo (CeSDA) e la supervisione, al processo di formulazione che si diceva, della Dottoressa Orsi (Resp. CeSDA).

La griglia pre-definita di domande è stata la seguente:

•  In che tipo di servizio opera, quali sono le attività prevalenti e gli obiettivi specifici dei vostri interventi?

•  A quali gruppi nazionali o etnici appartengono prevalentemente i ragazzi e attraverso quali canali arrivano al servizio?

•  Che percezione ha del disagio dei ragazzi che frequentano il servizio?

•  In che misura possono essere definiti i ragazzi di cui si occupa a rischio?

•  Che tipo di rapporto ritiene che abbiano con le sostanze?

•  E' a conoscenza del coinvolgimento di alcuni dei ragazzi di cui si occupa in attività di microcriminalità?

•  Che cosa funziona meglio del suo servizio e quali sono le criticità che può riscontrare?

•  Che cosa migliorerebbe negli interventi sociali rivolti all'integrazione dei minori stranieri?

•  Quale è il suo giudizio sul lavoro di rete?

 

I testimoni privilegiati a cui sono state sottoposte le suddette domande sono stati individuati alla fine della fase di mappatura di luoghi e servizi frequentati da minori stranieri a rischio (Gennaio – Maggio), in collaborazione con gli altri partner del progetto, così come avvenuto nella costruzione della griglia.

 

I SERVIZI

I referenti cui è stato sottoposto il questionario, operavano in servizi quali: Centri di Alfabetizzazione rivolti a minori, Equipe di Unità di Strada, Uffici pubblici, Centri giovani, Ludoteche, Centri di Orientamento rivolti a minori stranieri, SIAST, Associazioni culturali e di volontariato, Agenzie Formative in forma di ATI (Associazione Temporanea di Impresa). Per ciò che concerne I Centri D'Accoglienza per minori, ci siamo, per ragioni temporali limitati ad intervistare L'Assistente Sociale che per l'Ufficio Sicurezza Sociale del Comune di Firenze, si occupa di coordinarne i flussi, le permanenze, gli specifici interventi.

 

GRUPPI NAZIONALI O ETNICI

I gruppi nazionali o etnici coinvolti nelle attività dei servizi mappati, osservati e interpellati, attraverso le interviste, sono stati: magrebini (in particolare marocchini), albanesi, rom, rumeni, cinesi.

I canali tramite cui questi minori sono arrivati a tali servizi, sono svariati, anche secondo le naturali predisposizioni, caratteristiche e funzionalità degli stessi.

Di certo balza alla vista la generale e massiccia presa in carico da parte dei vari servizi di minori albanesi, marocchini, rom slavi e, in minor percentuale, rom rumeni.

Mentre nei centri di alfabetizzazione arrivano minori di svariate nazionalità, più si aumenta con l'età e più i minori in carico presso i Servizi Sociali appartengono alle prima citate etnie e gruppi nazionali.

Rispetto ai temi specifici affrontati durante le interviste, proporremo ora, del tutto anonimamente, parti di alcune delle risposte che ci sono parse andare più in profondità rispetto a certe problematiche.

 

PERCEZIONE DEL DISAGIO

“Succede che il disagio comunque c'è perché nasce una grossa crisi di identità personale e nasce quasi come una sorta di schizofrenia interiore. Per cui i ragazzi fondamentalmente sanno di essere legati alle proprie radici, alla propria famiglia, alla propria cultura ma quasi …. sentono il bisogno di negarla e di vivere con il modello europeo o occidentale in testa. Quindi a casa parlano la propria lingua e fuori si rifiutano nel volerla parlare. O che so…vedi il ragazzo marocchino che fa il razzista nei confronti del ragazzo cinese o albanese perché non ritiene giusto che vengano in Italia. Quando riesci ad andare un po' oltre l'atteggiamento bullistico di certi ragazzi, scopri che c'è un disagio molto grosso proprio di identità …”chi sono io”…”cosa vorrei essere”…”quello che mi chiede la mia famiglia non è quello che io vorrei essere”.

La natura del disagio è piuttosto eterogenea. Si va dai problemi di tipo lavorativo, a quelli giuridici, da quelli socio-abitativi, a quelli psicologici. Di certo si può dire che affrontare certi aspetti amministrativi è per loro e per i servizi una bella difficoltà ”.

“I minori cinesi, invece, i più “imprendibili”, si vedono più spesso a Brozzi, a Quaracchi. Si vedono e basta. Sono odiati da tutti i gruppi di ragazzi sia italiani che stranieri”.

Il desiderio di essere adolescenti come gli adolescenti italiani, provoca nei ragazzi partecipanti al corso, in maggioranza albanesi, una forte frustrazione. Senza contare le aspettative dissolte da muri amministrativi.

Possono essere definiti a rischio in base al senso di frustrazione sopra descritto e ad alcune loro difficili situazioni socio-ambientali di riferimento”.

Il disagio viene fuori come violenza verso gli altri o verso se stessi. L'uso delle sostanze è un esempio di violenza verso se stessi. Nella maggior parte dei casi il disagio si manifesta in casi di intemperanza, oppure con una chiusura verso l'esterno molto forte, una difficoltà di relazione e di rapporto, un'assenza di crescita armonica, una difficoltà a trovare un equilibrio. Quello che si rileva all'interno della scuola, è una grossa difficoltà a riuscire a fronteggiare questo tipo di disagio. Gli insegnanti possono essere ben preparati da un punto di vista didattico, ma spesso si ritrovano a non possedere, nel loro bagaglio curriculare, competenze educative. Così succede che si ritrovano a non riuscire a gestire casi relazionali difficili se non intervenendo con modalità semplicemente autoritarie invece che autorevoli. I ragazzi , quindi si ritrovano raramente ad avere modelli di riferimento chiari, precisi con cui confrontarsi”.

 

“Allora, direi che…per molti…ad esempio per i cinesi, non c'è un disagio apparente o manifesto, se non quello di ritrovarsi in un mondo, in una cultura completamente diversa, per una scelta che si vede non essere una scelta della propria famiglia, ma una scelta guidata da altre realtà quindi molto dura, molto dura per i minori che si ritrovano qua da un mese all'altro, senza essere stati nemmeno preparati a questo tipo di cambiamento così grosso”.

 

MINORI A RISCHIO

Il rischio è tanto, loro sono ragazzi che rischiano per non avere infine nessuna prospettiva di vita: in Italia non gli diamo una prospettiva di inserimento, ma la cosa che invece non ci ricordiamo mai, è che il ragazzo che viene qui a 13-14 anni, e ci sta 5-6 anni, non si reinserisce più nel suo paese d'origine. All'Università di Tunisi mi dicevano che sostengono dei programmi che studiano le difficoltà di inserimento dei ragazzi che tornano dall'Europa, perché sono ragazzi che ormai non accettano più le regole di vita di una famiglia patriarcale”.

 

L'impressione che danno quasi tutti i ragazzi è quella di essere abbandonati anche quando hanno una famiglia. Da una parte si riscontra un forte senso di inferiorità rispetto ai loro coetanei gagè (non Rom), ai loro compagni di scuola, e dall'altra il tentativo di costruirsi un percorso diverso da quello dei propri genitori. La maggior parte di questi tentativi però falliscono nel momento in cui si sposano…

La maggior parte non ha il senso della pericolosità di certe loro azioni. Molti di loro sono abbagliati dalla spinta al consumismo e sentono molto forte la pressione di vestire “all'ultima moda….Va anche detto che molti trovano il denaro per acquistare quello che vogliono....

Una grossa influenza la esercita anche la collocazione abitativa che, oltre che contribuire all'emarginazione sociale, acuisce anche il loro senso di inferiorità…Spesso i bambini vengono sovraccaricati dai loro genitori o parenti di responsabilità che non gli competono e usati come strumento per ottenere più servizi o assistenza”.

 

Il rischio…Diciamo che ci sono diversi rischi; un rischio è legato all'età e all'ambiente in cui vivono…Questo è un ambiente in cui il rischio connota le persone che ci vivono. Un altro rischio nasce dal fatto stesso di essere stranieri e quindi dal tipo di approccio, dal modo di pensare che la gente ha nei confronti degli stranieri. Comunque questi ultimi si portano dietro come una ferita, un disagio forte. Qui le persone stanno anche insieme ma si portano dietro un razzismo di ritorno che comunque c'è. Gli stranieri si portano sempre come un etichetta addosso e si pongono sempre diciamo sulla difensiva rispetto agli altri perché sentono comunque nell'aria questo giudizio nei loro confronti. Questo secondo me amplifica anche il rischio, il disagio. Lo rende ancora più evidente”.

 

SOSTANZE

In tutti i minori stranieri c'è un aumento dell'uso di sostanze soprattutto dell'alcol e delle sostanze chimiche. E poi, l'ultima ora, è quella di fumare l'eroina…”

“Prendendo come riferimento i gruppi informali di ragazzi stranieri, direi che i magrebini rivolgono la loro attenzione a sostanze come l'haschisc o la marjuana, al peggio l'eroina. Così gli albanesi.

In generale questi gruppi ci sembrano poco attratti dalle “nuove droghe”.

 

Alcuni di questi bambini Rom, che frequentano la struttura, denotano una conoscenza del “mondo della droga”. Molti di loro fumano sigarette… ”.

 

MICROCRIMINALITA'

Devo dire che purtroppo la microcriminalità va aumentando. Spesso però è una criminalità comunque al servizio di gente adulta. E' che fondamentalmente si preferisce manovalanza straniera. Questo perché è una manovalanza più comoda, che crea meno problemi…con meno diritti e quindi più facilmente controllabile”.

“…è la marginalità che poi riporta al carcere. Il referente dei minori non accompagnati è Piazza S. Spirito, la vendita dell'hascish e della marjuana per vivere…referente al limite è la polizia che spesso è il primo operatore sociale. Se trovi il poliziotto giusto, spesso è lui il primo operatore sociale (…)”.

 

CRITICITA'

“Quello dei minori stranieri non accompagnati sta diventando secondo me un aspetto critico sempre più grosso. Quindi tutto quello che va su questo versante è sicuramente utile. Anche se dipende. Quando parti ci sono molte situazioni in cui lo sai cosa vai a fare, altre in cui lo sai a metà, come altre in cui non lo sai per nulla. Oppure lo sa la famiglia e non lo sai tu, lo sai tu e non lo sa la famiglia. Ho visto tante situazioni. La dipendenza dalle aspettative della famiglia è spesso molto forte. Poi c'è anche il miraggio di potere, in un futuro, vivere bene nella propria famiglia. Spesso nel loro paese vedono persone che sono ritornate ed hanno fatto fortuna, hanno aperto un'attività…Però le attività che poi hanno portato a quel tipo di situazione…”

“Per i ragazzi stranieri fondamentale è l'acquisizione del permesso di soggiorno appena raggiunti i 18 anni. La maggior parte di loro vengono per lavorare ed hanno bisogno di ottenere un permesso per lavorare. Ma la legge per ora non lo permette più di tanto. C'è il permesso di soggiorno per minore età ma non è detto che poi si riesca ad ottenere un permesso di soggiorno per lavoro.

Nello stesso tempo la legge e le istituzioni si muovono in direzione della regolamentazione dei rimpatri. Ci sono rimpatri assistiti fatti solo ed esclusivamente in quei casi in cui è nell'interesse del minore essere rimpatriato. Nella maggior parte dei casi, però, non è così. Quindi il lavoro che noi stiamo facendo, in accordo con altre comunità, è quello di agire nell'interesse dl minore e così non ridurre e non finalizzare l'assistenza ai ragazzi nelle comunità al rimpatrio ma finalizzarle a quella che è la ragione della loro presenza in Italia, ossia cercare un lavoro. Con la legge attuale si corre invece il rischio che i ragazzi, qualche mese prima di compiere i 18 anni, lascino la comunità e si ritrovino a vivere da clandestini non volendo essere rimpatriati”.

LA RETE

“Ma, sul minore straniero direi che non c'è nessun lavoro di rete proprio se vogliamo essere onesti fino in fondo. Diciamo che forse sarebbe l'ora di pensare a costruirla, una rete. Devo dire che non c'è integrazione e neanche conoscenza delle varie attività, servizi, cose che vengono fatte e pensate. A volte, si creano delle condizioni perché possa essere messo un servizio in una realtà senza magari nemmeno ascoltare chi in quella realtà ci vive. Ti ritrovi allora improvvisamente un servizio nel quale sono stati spesi un sacco di soldi quando magari se avessimo ragionato insieme su cosa poteva essere necessario, avremmo forse speso meno e fatto qualcosa di più utile. Quindi penso che prima di esprimere un giudizio sulla rete dovremmo costruire una rete VERA, su questo, e direi su tutta l'area dei minori . I minori stranieri sono poi una delle cartine tornasole per verificare questa mancanza di rete… fare invece un progetto più globale sulla base di un atteggiamento diverso che ognuno di noi dovrebbe avere nei confronti dei minori stranieri, e dei diversi contributi che ognuno di noi può dare mettendo a frutto le proprie specifiche competenze e capacità”.

 

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

In un articolo uscito sulla cronaca locale de La Nazione , il 24 Settembre 2003, si dice che, secondo i dati forniti all'inaugurazione dell'Anno Giudiziario, i minorenni coinvolti in reati di stupefacenti, dal Luglio 2000 al Giugno 2001, sono stati, in tutta la Toscana , 130. Nel corso del 2002 invece, i giovanissimi denunciati per spaccio di stupefacenti sono saliti a 153. – In queste quote sono compresi minori italiani ma anche giovanissimi immigrati.

Nel contesto urbano fiorentino, la zona più problematica, rispetto a situazioni di disagio e devianza anche minorile, è sicuramente quella del centro storico. Le strade intorno alla Stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, Borgo San Lorenzo (ma anche l'oltrarno) sono conclamati contesti nei quali l'immigrazione clandestina si connette spesso in circuiti di devianza, di rischio, che aumentano fenomeni di marginalità sociale.

Situazioni altrettanto pesanti, meno legate alla clandestinità, ma a condizioni ambientali, residenziali multiproblematiche, sono quelle in cui versano alcune zone dei Quartieri 4 e 5 e più specificatamente: Santa Maria a Cintoia, l'area Rom Poderaccio/Masini, la Casella , Le Piagge, il campo Rom dell'Olmatello e, sconfinando, S. Donnino. Tutte zone di frontiera (fisica e mentale), tutte zone confinanti con la “campagna urbanizzata”.

Così, da una parte abbiamo, come riconosciuto contesto multiproblematico, il CENTRO storico cittadino, in parte disabitato, lussuosa vetrina per i turisti, snodo commerciale per eccellenza di attività lecite ed illecite; dall'altra, altrettante zone “difficili”, alcuni LIMES, confini cittadini sovrappopolati, scollegati dal resto della città: zone lontane, e non solo geograficamente, dal centro. Verrebbe da dire, alla luce di questa considerazione, che anche il centro di Firenze forse da anni, più o meno in silenzio, sia diventato una sorta di luccicante e contraddittoria periferia!

In mezzo a queste, come attori protagonisti e non semplici comparse, dovrebbero starci i Servizi (pubblici e privati); i cui stessi operatori spesso, durante le interviste effettuate, hanno dichiarato le loro difficoltà operative. Difficoltà in maggioranza riferite alla presenza di un'utenza straniera sempre più spesso in condizioni di marginalità sociale: problemi socio-amministrativi spesso insormontabili, residenziali, carriere devianti da tempo intraprese, uso ed abuso di sostanze psicoattive.

In questa situazione di dichiarata difficoltà operativa, le criticità emerse durante le interviste ai testimoni privilegiati, sono state: gli ostacoli di tipo amministrativo, una maggiore formazione degli operatori, i rapporti con i SIAST, la Rete.

L'aumento in Italia e, sul territorio fiorentino, del numero di minori stranieri non accompagnati, causato forse anche della maggiore elasticità della attuale legislazione verso i clandestini minorenni, non è stato probabilmente analizzato approfonditamente. I percorsi educativi e formativi paiono tutti o quasi percorsi sperimentali, nati soprattutto dall'emergenza, più che da una seria valutazione del fenomeno, dei fenomeni…

Ascoltando i vari operatori intervistati, osservando varie e problematiche parti della città, gli operatori del Progetto Aladino si sono convinti che ogni servizio, che necessiti confrontarsi col disagio dei minori stranieri a rischio o in condizioni di marginalità sociale, debba innanzitutto partire da una seria e continua valutazione dei fenomeni, dal confronto, da una altrettanto seria e continua condivisione del proprio operato con altri servizi e da tutto questo, rigorosamente, ripartire.

Un sostegno istituzionale maggiore, maggiori investimenti sulla qualitativa continuità degli interventi, su percorsi anche innovativi e culturalmente importanti, come progetti mirati alla promozione della mediazione culturale, e mezzi finanziari adeguati, sono tutti punti oramai imprescindibili per portare a buon fine ogni tipologia di lavoro sociale.

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