La casa possibile

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Esperienze di superamento del disagio abitativo

Disagio abitativo, esclusione abitativa, limiti delle politiche abitative convenzionali e modalità concrete di riappropriazione dell’abitare da parte degli abitanti. A questi temi la Fondazione ha dedicato il convegno ‘La casa possibile’, svoltosi a Firenze il 15 ottobre 1999

La mancanza di una casa, o la mancanza di una casa decente al costo giusto, è l’anello spesso determinante di una catena infinita di privazioni. Ed anche quando di qualcosa si riempie la vita (qualche lavoro precario, qualche forma di reddito, una base minima di sopravvivenza), l’instabilità e l’inferiorità abitativa mantengono chi ne soffra al di qua del riconoscimento pieno del diritto di cittadinanza e di appartenenza, appunto in una zona di esclusione, di esistenza diminuita.
La casa non è infatti soltanto una cosa, un riparo puro e semplice. È viceversa un bene complesso, anzi un insieme di beni, materiali e simbolici. Il radicamento e l’appartenenza alla città incominciano dalla casa e ricevono impulso dalla sistemazione in una abitazione dignitosa.
Molti elementi concorrono in questa fase ad accrescere in maniera sensibile il ruolo del fattore abitativo nel determinare l’inclusione o l’esclusione sociale. Si tratta in parte di elementi nuovi (la differente struttura demografica e familiare, i crescenti fenomeni di fragilità sociale e di precarietà lavorativa, il peggioramento dei mercati abitativi) e in altra parte di una eredità del passato che si va facendo sempre più pesante (la scarsità dell’edilizia pubblica, la perdita di efficacia e di equità delle procedure di accesso, la spinta alla proprietà della casa, la crescente restrizione del mercato dell’affitto).
A questo quadro di sfondo si aggiungono fattori di carattere politico e istituzionale: sul versante delle scelte politiche, anche nel nostro paese si assiste a quel fenomeno di ‘ritiro’ del pubblico (in particolare dello Stato centrale) da un impegno diretto nella produzione e nell’offerta di edilizia sociale; sul versante istituzionale, il processo federalista ha investito in pieno le competenze nel campo abitativo e urbanistico, trasferendo a Regioni e Comuni l’onere delle politiche abitative e del reperimento delle risorse a queste necessarie.
Questo insieme di elementi proietta (o almeno dovrebbe proiettare) al centro del discorso sui sistemi di protezione sociale la questione abitativa, che negli ultimi decenni era stata affidata quasi esclusivamente ad una logica diffusiva e quantitativa, che ha peraltro privilegiato la proprietà della casa.
Nonostante il costante incremento dello stock di abitazioni, siamo invece di fronte a un diffuso aumento del bisogno e del disagio abitativo: per fasce sempre più larghe di popolazione la possibilità di accedere alla casa ad un costo ragionevole rappresenta l’argine rispetto al rischio di scivolare verso situazioni ben più gravi.

La scarsa incidenza sulle fasce più deboli economicamente delle politiche abitative convenzionali richiede la sperimentazione di interventi mirati a specifiche condizioni di disagio.

Diverse iniziative locali, attivate prevalentemente da comuni, cooperative, associazioni del terzo settore, si sono sviluppate in questi anni, sulla base della constatazione dei limiti dell’offerta convenzionale -limiti non soltanto quantitativi, ma anche qualitativi – per fronteggiare l’inadeguatezza delle risposte alle domande provenienti sia da situazioni di esclusione sociale che da situazioni di inclusione e integrazione ma con scarsa disponibilità economica.
Tali iniziative sono state sviluppate componendo risorse istituzionali e risorse offerte dalla società civile, cercando di sfruttare gli spazi offerti dal sistema dell’edilizia residenziale pubblica e da legislazioni per fasce particolari, ma anche introducendo – spesso con riferimento a modelli di esperienza di altri paesi – formule inedite, non previste nel nostro sistema di accesso alla casa. Per la maggior parte si tratta di azioni orientate a:
• offrire sistemazioni ‘intermedie’ o specifiche,
• incrementare l’offerta sociale (per sistemazioni sia temporanee sia definitive) al di là di quanto prefigurabile con gli strumenti tradizionali..
La parte principale di queste iniziative è orientato secondo tre prevalenti modalità:
1. il recupero/risanamento di componenti del patrimonio esistente, pubblico e privato, anche attraverso procedure di coinvolgimento degli utenti (autorecupero);
2. la facilitazione dell’accesso al mercato privato dell’affitto, mobilitando l’offerta e offrendo attività di intermediazione intese a superare gli ostacoli – di reddito, di informazione, di ‘rifiuto’ da parte del mercato – soprattutto verso cittadini immigrati o cittadini comunque ‘stigmatizzati’;
3. la costituzione e la gestione di un patrimonio di alloggi da affittare a prezzi contenuti, attingendo da risorse pubbliche (patrimonio pubblico e finanziamenti pubblici) e private/associative, ‘di solidarietà’.
Per vari aspetti le diverse modalità cercano di dare risposta ai medesimi problemi: la patologica ristrettezza nel nostro paese dell’offerta ad un costo di affitto accessibile e le supplementari difficoltà che particolari fasce possono incontrare sul mercato privato.
Tutte queste modalità si rivolgono a persone con (qualche) reddito, anche se i gradi di socialità e l’equilibrio economico delle operazioni sono uno degli elementi principali che differenziano le varie esperienze. I promotori delle iniziative sono per la maggior parte associazioni, cooperative, operatori del privato-sociale, con relazioni di partenariato variabili col settore pubblico e con le risorse pubbliche.
La sperimentazione di interventi innovativi sul tema dell’alloggio sociale è il tema del convegno ‘La casa possibile’ le cui finalità sono state da un lato quella di evidenziare nuove strade per affrontare la crescita del disagio abitativo e le situazioni di esclusione abitativa rispetto ai limiti delle politiche abitative convenzionali, dall’altro quella di proporre modalità concrete di riappropriazione dell’abitare da parte degli abitanti.

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