Giovanni Michelucci. L’ultima lezione

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Un incontro alla facoltà di architettura occupata, Firenze 27 marzo 1990

La piccola ma curata pubblicazione raccoglie l’intervento di G. Michelucci del 27 marzo 1990, alla facoltà di architettura di Firenze, durante la ritardata inaugurazione dell’anno accademico, dopo i mesi dell’occupazione, con una preziosa documentazione fotografica della giornata.

a cura di Andrea Aleardi e Giacomo Pirazzoli
fotografie di Davide Virdis
progetto grafico: Domenico Cogliandro

impaginazione: Renata Marino
traduzioni in lingua inglese: Katrina Barnes
edizioni Biblioteca del Cenide
Via Stazione 10 – 89010 Cannitello (RC) tel. 0965.794731
formato 15×15, 84 pagine in b/n – euro 10

Indice:
Giovanni Michelucci:
L’ultima lezione
Un incontro inaspettato
L’angelo
Davide Virdis: Cose spiegate
Corrado Marcetti: ‘Io tiro in lungo la mia favola’

‘Io tiro in lungo la mia favola’
Corrado Marcetti
(il brano in esteso è presente in allegato)
Giovanni Michelucci si reca all’ultimo appuntamento del suo lungo rapporto con la scuola il 27 marzo del 1990, alla facoltà di architettura di Firenze, in occasione della ritardata inaugurazione dell’anno accademico, dopo i mesi dell’occupazione studentesca. Michelucci non è più un insegnante, non si è mai considerato un maestro e quel giorno non tiene una lezione. Sono passati settanta anni dall’esordio giovanile nell’insegnamento alla scuola d’arte pistoiese, quaranta dalla lettera di commiato alla facoltà di architettura di Firenze, di cui è stato preside, ventiquattro dalla messa in riposo dalla facoltà d’ingegneria di Bologna, dove ha diretto l’Istituto di Architettura e Urbanistica. Ha avuto diverse generazioni di allievi e del suo insegnamento ha così scritto: ‘Sono stato sempre lontano dall’insegnare formule e dall’imprigionare i giovani in un pensiero preconcetto; ho preferito lasciarli arbitri di scegliere la propria strada ponendosi liberamente di fronte alla vita, agli avvenimenti inattesi per valutarli e trarne le più aperte conclusioni. Il mio insegnamento era ridotto evidentemente a ben poca cosa. Molti miei ex-allievi sono divenuti amici carissimi. Con loro non parlo mai di architettura; parliamo degli eventi grandi e piccoli, cioè delle radici da cui nasce la pianta dell’architettura’ (in G. Michelucci, Non sono un maestro, Sarzana, Carpena, 1976, pp. 46-47). Giovanni Michelucci nella sua vita non ha fondato scuole o correnti di architettura, non ha rivendicato appartenenze o paternità, è sfuggito a tutti i tentativi di catalogazione, anche generazionale, ha praticato il diritto alla discontinuità, ha creduto in un metodo di lavoro rigoroso fondato sul dubbio più che sulle certezze. Un suo assistente, poi divenuto preside della facoltà di architettura di Firenze, Domenico Cardini, ha ricordato in una lettera, a proposito dell’insegnamento michelucciano, la richiesta che egli faceva ai suoi assistenti di ‘arrovesciare’ la penna nelle revisioni degli elaborati degli studenti, per indicare le possibilità e non imporre segni di correzione. Ma Michelucci diceva anche che nell’insegnamento è importante avere la disponibilità ad ‘arrovesciare’ la cattedra per apprendere dall’artigiano, dall’operaio, dallo studente, da una architettura realizzata da altri, da un non architetto, dalla vita.


Allegati:
Io_tiro_in_lungo_la_mia_vita.pdf

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